The Selfish Cales, la recensione di Haapsalu

The Selfish Cales

Haapsalu

Volcano Records

Haapsalu er asino ad oggi solo una località dell’Estonia. Ma oggi è anche il titolo e il core dell’ultimo lavoro dei The Selfish Cales, torinesi dal cuore psichedelico e dalla rinnovata formazione che licenziano un disco dai contorni interessanti e della buona coralità musicale. Per chi ama Ray Daytona, ma anche chi si ricorda dei Lemonheads e, andando a ritroso, anche di una psichedelia beat anni ’60.

Si tratta di esperimenti poco praticati in Italia, ma che quando riescono, come con i nostri The Selfish Cales, sono un variopinto e colorato molo dove poter attraccare su linee pop rock, progressive basi armoniche, e il caro vecchio mellotron a farla da padrone. Preda di linee di piano e coralità, vedi la titletrack, il loro cantato in inglese è freso come e loro camicie da surfisti e il loro amore per i Beach Boys, riletti spesso in una chiave più moderna e con un’endorfina che premia le line di basso.

Sul podio di un ipotetica classifica dell’album delle dieci canzoni di “Haapsalu”, che nasce proprio dopo un viaggio in Estonia, salgono le schitarrate acustiche e la collaborazione femminile alla voce si Winterfell, ma anche il coro accattivante di Fairytales Nawadays, senza dimenticare però la salsa rock iniziale di Kaspar Hauser. Parliamo di un brano che usa effetti chitarristici e dilatazioni sonore dense di ritmici psichedelici, dal titolo a noi misterioso e dalla ritmica convincente. Che sia il sole della California o il tramonto di Haapsalu non importa, con la musica si va lontano, e con i The Selfish Cales ci si imbarca su musiche perfette per festival come Zuma e per ascolti dinamici.

A quando il prossimo viaggio? A quando il prossimo disco?

Andrea Alesse

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