La recensione di FLOAT, l’album dei Seawards

Seawards            

Float

Platonica

 

Giulia Granger Benvenuto e Francesco Proglio De Maria si formano nel 2015 e portano oggi a compimento il loro sforzo musicale con un disco di prelibato e fresco suono elettronico che si mescola con l’r’n’b, Un galleggiamento a testa alta sopra un tessuto sonoro fatto di beat e un flow di minimalismi tecnologici di primo piano.

Articolati come certe band nordiche (vedi i Vok), i nostri cantano in inglese, con alternanza della voce femminile ad un duetto tutto da vivere. Dall’iniziale Fools in poi è l’elettronica minimalista a farla da padrone accanto ai vocalismi di Giulia e alla composizione di Francesco, due anime che si incontrano con la calda introspezione musicale in stile Venerus che guarda verso l’eleganza soft di Beatrice Antolini.

Seawadrs è quindi linguaggio nuovo, con vocoder in una traccia come Walls, e con assoli di trasmutazioni ad effetto garage band nella calda Feel, una delle migliori tracce anche per il passaggio con una chitarra acustica. Due artisti di cui sentiremo parlare, a mio avviso, lanciati dal loro emozionato live al festival “Collisioni” di Barolo tempo fa ed ora pronti a salpare dalla loro Imperia. Dal mare alla delicata espressione di una musica velata e distesa su suoni artificiali ma sempre vicini al loro essere.

Dieci tracce compaiono nella trama di Float, e dieci sono le loro composizioni che scivolano via sino alla filosofia elettro di Not Afraid to die Alone, una canzone in cui c’è tutto il vigore di una musica che ama essere distesa e viaggiante, come i Seawards.

 

Andrea Alesse

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