Chinese Man di nuovo in consolle, sono tornati i guerrieri del sound

Autori: Chinese Man

Album: Shikantaza

Etichetta: Chinese Man Records, Goodfellas

Shikantaza è un termine utilizzato nelle scuole Zen e buddiste e letteralmente significa nothing but (shikan) precisely (da) sitting (za), descrivendo l’attitudine adottata durante la meditazione zen.

Una dichiarazione di guerra meditazionale in pieno stile, per un album sperimentale ed energico. I Chinese Man presentano Shikantaza. Un nuovo lavoro per i guerrieri del suono, che dopo dieci anni di carriera continuano nella loro ascesa verso l’agognata immortalità sonora. High Ku, Sly e Zè Mateo operano in Francia, ma costruiscono energie in sound spostandosi sino a Bombay, e passando per il loro rifugio nelle foreste francesi, dove prende vita l’orgoglioso progetto indipendente dell’etichetta Chinese Man Records. Ogni luogo concede un’aspirazione, e ogni ispirazione promuove una canzone, tra dance, hip hop, dub, breakbeat e armature funky. Nasce così un ottavo disco che racchiude un ritorno alle origini, spese a celebrare il dio sacro del dj set e a spargere cenere sul terreno a colpi di rituali di voodoo electro music. Indimenticabili le The Groove Sessions, come indimenticabili sono i live di un collettivo che usa i campionamenti come antipasto e i beat minimali come dessert. Nel mezzo, i suoni meticci arricchiti dai passati featuring, tra cui ricordiamo quello con A-Plus, Knobody, Pep Love –  ovvero pesi massimi della West Coast Crews –  e quelli con il collettivo Hieroglyphics ed i leggendari Souls Of Mischief.

Shikantaza sono 16 tracce, in cui la puntina impazzisce e il vinile si piega dietro la forza espressiva dei maestri di Marsiglia, mai sprovveduti nel mescolare e portare in alto le loro tracce mai scontate. La titletrack da subito il lasciapassare per il caleidoscopico viaggio dei Chinese Man, con elucubrazioni di beat condite da meditazioni crescenti figlie dei un trip hop deviato da voci orientaleggianti. Pensare zen e masticare ritmi, per affrontare in modo migliore il domani. Dentro al nuovo lavoro, però, ci sono anche preziose collaborazioni. Su tutte, quella con Kendra Morris e Dillon Cooper in Liar, dove si fondono r&b e hip hop su basi che non fanno invidia ad altri ministri del sound in circolazione. Non bisogna perdersi però neanche l’allegra What You need, in cui Vinnie Dewayne e Myke Bogan & Tre Redeau portano l’ascoltatore nel dj set che Vincent Cassel vede ogni giorno nella sua banlieu francese. Perché solo da progetti veri e al limite come la banlieu, proviene la vera musica. In Warriors risuonano invece echi di Dub Syndacate (come anche in Malad) macchiati da percussioni e vocals d’attacco naturalmente black. Wolf ci porta all’inizio in territoti Dj Shadow, per poi andare verso paesaggi migratori che impongono occhiali scuri e attitudine. Non manca neanche una traccia legata alla word music, Anvoyè, composta da quella traiettoria che ricorda il viaggio in Africa di Nina Simone, stavolta imbevuta di bass music e fuori strada tra fiati e cori di donne del posto. Ad augurarci buonanotte ci pensa l’ultima canzone, intitolata appunto Goodnight. Un episodio in cui il commiato dei Chinese Man risuona di basi intrappolate tra Dalek e lucidi visioni notturne figlie della dub music narcolettica, ma ancora viva e scalciante.

Testo a cura di Andrea Alesse

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