Intervista a Rocio Rico Romero: silenzio e musica

A circa un anno dall’uscita del suo primo album Roca Basica, abbiamo avuto la possibilità di fare due chiacchiere con Rocio Rico Romero, intercettata prima dell’esibizione al Teo Bar di Castiglione d’Adda (LO).

Benvenuta Rocio e grazie mille per la tua disponibilità. Comincerei quest’intervista parlando del tuo arrivo in Italia, risalente ormai al duemila, che coincide con l’inizio della tua carriera artistica…
Sono venuta a Firenze in Erasmus per completare il mio percorso di studi, ma qui ho trovato l’amore ed ho modificato i miei piani spostandomi a Bologna, città con un clima ed un ambiente più adatti alle mie aspirazioni.
Volevo che la mia carriera universitaria avesse un seguito, e nello stesso momento decisi di lavorare intensamente sulla mia voce studiando canto lirico per otto lunghi anni con la mia splendida insegnante Gloria Giovannini.

La tua matrice musicale è radicata nel flamenco, ma ho letto che oltre alla lirica hai studiato anche tecniche di canto provenienti dall’oriente, e nella biografia che possiamo trovare sul tuo sito citi il Lama tibetano Venerabile Norsang, il capo cantore del monastero di Gaden Igor Koshkendey e Germana Giannini come guide che hanno avuto un ruolo fondamentale nella tua crescita artistica…
All’università ho studiato pedagogia e mi sono specializzata in logopedia perché ho sempre amato il canto come forma di comunicazione, e studiare tecniche così diverse fra loro mi ha permesso di imparare a conoscere approfonditamente le reazioni del mio corpo in relazione al canto, arrivando poi ad una sorta di “imbastardimento tecnico” che riunisce tutte queste influenze in un’unica dimensione.

Quindi è anche grazie a questi tuoi studi che nascono alcuni progetti davvero particolari, fra i quali Rocca…
Quello fu un progetto molto speciale per me. L’evento è stato organizzato all’interno del Festival perAspera che si svolge a Bologna nel mese di Giugno. Mi offrirono la possibilità di usare il teatro del Mazzacorati – una meravigliosa chicca del ‘700 – e pensai di creare una sorta di allegoria musicale sul tema del cammino della vita, inteso come un percorso circolare, sempre iniziatico. I presenti venivano accompagnati all’interno del teatro con gli occhi bendati, poiché privando una persona di un senso fondamentale come la vista, il potere evocativo e mnemonico della musica viene amplificato. Inoltre ho usato aromi del mediterraneo per completare quel tipo di esperienza, dato che le tre musiche usate rappresentano “il cammino del pellegrinaggio”, “Il ritmo del lavoro” ed “Il cammino dell’addio”, provenienti dalla tradizione spagnola e riarrangiate da Antonello D’Urso, Vince Pastano e Max Messina.

E proprio questi tre nomi mi portano all’etichetta Liquido Records…
Sì, è l’etichetta discografica di Vince, Max ed Antonello, che oltre ad essersi occupati degli arrangiamenti di Rocca, hanno curato arrangiamenti e produzione artistica del mio album, Roca Basica.

Già dal titolo si trova un rifermento alle tue radici…
La roca basica è un componente minerale della terra da cui provengo, e trattandosi del mio esordio discografico ho voluto scegliere un titolo che mantenesse stretto il legame che ho con le mie origini.

Come nascono i tuoi brani? Trovo molto interessante il modo in cui la tua voce va ad interagire con l’atmosfera creata dalla band…
I scrivo i pezzi accompagnandomi con la chitarra, loro si occupano di cucire addosso ai brani il vestito più adatto. Delle volte i ragazzi sono stati capaci di portarmi ad usare la voce come uno strumento aggiuntivo fondendola alle loro sonorità, mentre in altre situazioni è la loro musica che segue e si sviluppa attorno al cantato, a volte sostenendolo, a volte trascinandolo in direzioni diverse.

Ascoltando i tuoi brani, ho come l’impressione che quel velo di malinconia presente in diversi pezzi – in Isabel per esempio – nasconda comunque un’emozione contraria, più positiva. Insomma, mi sembra non ci sia posto per la rassegnazione nei tuoi testi…
Se questa è l’impressione che fanno a te ne sono felice, però devo dire che l’intenzione dei brani non è mai cercata. Io sono molto malinconica, alcuni testi sono autobiografici ed altri invece nascono semplicemente per empatia, ed anche se a volte posso essere molto solare e leggera, quando si apre la scatola della creatività… non esce nulla che non sia “lacrimogeno” (ride).

In un tuo brano parli di quanto possa essere intenso un breve scambio di sguardi, e mentre sei sul palco ti succederà centinaia di volte in pochi minuti… Come vivi quella situazione?
Quando sei sul palco ti senti molto vulnerabile, ma quando incroci lo sguardo del pubblico riesci a capire se davvero riesci a comunicare qualcosa, e nello stesso modo loro comunicano con te. È un momento di arricchimento, e mi piace tuffarmi nello sguardo delle persone.

Intervista a cura di Lorenzo Gandolfi

(Chitarristi: Antonello D’Urso e Vince Pastano/Batterista: Max Messina)

E, di seguito, alcuni scatti a cura di Elena Arzani (autrice anche dell’immagine copertina):

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