Francesco Gabbani: nel mio karma gavetta e vittorie

Appena un anno fa, Francesco Gabbani trionfava a Sanremo Giovani con il brano “Amen”. Sembrava potesse essere l’ennesima meteora del mondo musicale italico, ormai dilaniato dai cantanti usa e getta sfornati dai talent show. Invece, dopo 12 mesi, eccolo di nuovo all’Ariston, inserito tra i big. Nel festival del cuore, che fa rima con amore, in molti giudicavano improbabile l’eventualità che potesse vincere, presentando un brano almeno in apparenza demenziale. Ed invece Francesco ce l’ha fatta. Nel corso della settimana rivierasca ha scalato pian piano le gerarchie, ha sfondato in radio e, alla fine ha battuto Fiorella Mannoia, che era indicata come l’indiscussa favorita del Festival 2017.
Non appena Carlo Conti ha annunciato la sua vittoria è corso ad abbracciare l’artista romana e proprio da questo gesto parte la sua intervista.

Francesco perché l’hai fatto?
«Credo sia stato un gesto doveroso nei confronti di Fiorella. Per me è stato un grande trionfo poter condividere il palco con artisti come lei e averli preceduti in classifica è stata un’emozione incredibile. Lo dico sinceramente non mi aspettavo assolutamente questa vittoria. Certo in un angolino del mio cuore c’era una speranza, visto il riscontro avuto dagli ascolti in radio. Ora che ho in mano questo trofeo stento a crederci, non ho parole».

Come ti senti ora?
«Sono molto felice, non ho parole, perché questo è stato un anno pieno di soddisfazioni e la vittoria è un nuovo tassello che va a comporre questo sogno. Spero soltanto di riuscire a gestire tutto quanto dal punto di vista emotivo. Mi auguro per il futuro è continuare a fare musica con semplicità e spontaneità. Del resto è quello che ho fatto da sempre. La speranza è di incontrare sempre nuove persone».

A chi dedichi questo trofeo?
«Lo dedico a tutti coloro che rendono possibile il mio essere artista e quindi alla Bmg, ai coautori del brano (il fratello Filippo Gabbani, Fabio Ilacqua e Luca Chiaravalli, ndr). Nella mia dimensione più intima, invece, ai miei amici e tutte le persone che ho vicino, la mia famiglia».

In quanto vincitore al Festival, accetterai l’invito all’Eurovision Song Contest?
«Quanto tempo ho per rispondere? Sì. L’unico problema è che dovrò ripassare l’inglese».

Qualcuno dice che è stato il Festival della rottamazione. Sei d’accordo?
«Credo che l’affermazione di tanti giovani sia solo una combinazione. Da una parte è una bella cosa, nell’ottica del cambiamento. Dall’altra ritengo che in un festival della canzone italiana debbano essere premiati i brani più belli. Se un testo parla d’amore ed è bello, perché non può vincere? Il problema è quando i pezzi non sono forti e non colpiscono il cuore».

Di che cosa parla il tuo testo?
«La canzone indipendentemente dal testo credo abbia un appeal giusto dal punto di vista melodico. La musica è fatta anche di vibrazioni e di note e spesso nei brani italiani sono proprio questi due fattori ad emergere ancor prima dei messaggi. “Occidentali’s Karma” è un insieme di figure che hanno funzione di provocazione, che spero possa far riflettere su di noi stessi e farci un esame di coscienza. Parlo in prima persona perché sono io la prima cavia di ciò che racconto. Vorrei che il mondo occidentale iniziasse a fare un po’ di autocritica, magari avvicinandosi alle culture orientali che dispensano tanta serenità, senza per forza avvicinare quei mondi al nostro modo di essere, trasformandoli nella filosofia della moda e dell’apparire».

Ma è davvero facile essere padroni del proprio destino, così come fanno le religioni orientali?
«Impugnare il nostro destino significa cambiare il nostro atteggiamento nei confronti delle cose che abbiamo intorno. Il mio è un pensiero molto buddista, ma con questo non voglio dire che lo sia. Semplicemente ho cercato conoscere il pensiero di quelle persone che praticano questo tipo di meditazione e alla fine sono arrivato alla conclusione che un simile comportamento non sia assolutamente compatibile con il nostro mondo occidentale».

Qualcuno dice che ti sei ispirato a “La scimmia nuda”…
Certo è ovvio che mi sono ispirato al libro di Desmond Morris, lo zoologo ed etologo inglese che trattava l’uomo come un primate, una scimmia senza peli, quindi nuda. Noi dietro questo modo di ben pensare siamo pur sempre degli animali e come tali abbiamo degli istinti repressi, che prima o poi riaffiorano».

Perché hai vinto?
«Credo sia stata la somma di varie componenti: dal mio modo di pormi sul palco, ad una canzone orecchiabile e, perché no, dal balletto che sicuramente ha messo allegria a chi lo stava guardando».

Nel portare lo scimmione sul palco, non hai mai pensato a Fabrizio De André e il suo “Arriva il gorilla”?
«No assolutamente. La performance ha preso spunto in qualche modo dall’esibizione di Daniele Silvestri, che con “Salirò” portò sul palco dell’Ariston un ballerino. Ma l’accostamento non è stato un plagio e nemmeno una citazione al cantautore romano».

Tu hai una lunga gavetta alle spalle e forse questa cosa la sanno in pochi…
«Ho iniziato a scrivere canzoni a 12 anni e continuo a farlo. Ho 34 anni, ho fatto diverse esperienze discografiche, ho suonato un po’ ovunque, anche su palchi importanti, e quindi vincere per due volte a Sanremo è stato un traguardo, una legittimazione dell’essere artisti, qualcosa che fa parte della cultura italiana. Però nello stesso tempo che sarà anche un punto di partenza, per poter iniziare un percorso nuovo e continuare a vivere di musica il più possibile».

Parlavi di sacrifici. Tu ne hai fatti tanti...
«I sacrifici sono quelli che fai quando ti poni un obiettivo. Durante il percorso puoi scontrarti contro le famose porte che ti si chiudono in faccia. Devi avere la forza di andare avanti con tenacia e continuare, perché capisci che quella è la tua missione, è il senso della tua vita. E’ un sacrificio perché devi anche fare i conti con la quotidianità, con le persone che ti sono vicine e che ti consigliano di fare qualcosa che ti permetta di essere più sicuro. Perché comunque il mondo della musica è difficile come tutte le forme di espressione artistica. I sacrifici sono in quel senso e chi fa musica questa cosa la sa. Devi viverla per capirla».

A cura di Vincenzo Nicolello

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