ASAF AVIDAN – “Milito contro il miraggio della perfezione”

A cinque anni dalla sua ultima esibizione da solista, Asaf Avidan torna sul palco da solo per il nuovo Ichnology Solo Tour.  Con la sua narrazione carismatica e la sua energica magia multistrumentale, Avidan da solo sul palco passa dall’eterea fragilità a un’incontenibile forza creativa.

Apre lo spettacolo seduto al piano Steinway, con la sola luce di un abat-jour. La sua voce riempie la sala e ci trasporta in questo spazio caldo e sicuro come il salotto di una casa, ma etereo e intangibile come un sogno incantato.

Visibilmente emozionato e provato dai recenti accadimenti nella sua terra, ci rivela come la sua scelta di proseguire il tour sia dettata dall’importanza che ha l’arte di permettere un viaggio all’interno di noi stessi, alla ricerca di qualcosa che possiamo poi trasmettere al di fuori, donandoci e influenzando il mondo che ci circonda. Non una fuga dalla realtà, dunque, non un diversivo, ma una rigorosa introspezione filtrata attraverso la bellezza e la dignità. Non il miraggio della perfezione, ma la ricerca della verità, che comprende la possibilità di sbagliare o fallire.

Asaf Avidan è tutto un universo di colori ed emozioni che nessuna parola può tradurre adeguatamente. Se i paragoni, o meglio le evocazioni, balzano in mente come guizzi rassicuranti di memorie e reminiscenze, questo artista è indiscutibilmente un mondo a sé stante. Contiene l’eco lontano delle sue influenze senza somigliare mai a nessuno. Si esibisce solo, elegante nel suo completo, ma totalmente nudo nelle sue fragilità. Muovendosi con agilità tra il pianoforte, le chitarre, le percussioni, i campionamenti, la cigar box guitar, e soprattutto quell’incredibile strumento che è la sua voce, sembra fluttuare in modo totalmente naturale tra i molteplici strumenti e gli straordinari giochi che la sua vocalità particolare gli permette.

Il palco, la sala, le note che vibrano, diventano non solo il suo habitat, ma un mondo in cui accogliere chi lo ascolta. E allo stesso tempo, paradossalmente, traspaiono sofferenza, profondità, forza e struggimento, in ogni respiro, in ogni nota e in ogni gesto di questa intensa serata. Androgina, versatile, straziante e ammaliante, la voce di questo incredibile artista ha sfumature quasi sovrannaturali, che trasportano in un altrove sicuro e confortevole e al contempo destabilizzante e imprevedibile.

L’immediatezza delle emozioni che scaturiscono da questa esibizione si insinua tra la complessità delle strutture musicali, ritmiche e vocali di ogni brano presentato in scaletta. Scuro il suo abito, scura la tenda che da sola crea gli effetti scenografici di questo spettacolo, con il palco allestito come un salotto, un luogo intimo, raccolto in cui lasciarsi trasportare dalla musica. Un mondo scarno e complesso che invita a immergersi nel profondo e non fermarsi alla superficie di una hit accattivante. Uniforme per intensità, il concerto attraversa il repertorio di Avidan, in un crescendo di emotività, che tocca il suo apice forse nella parte centrale, da Over you blues, annunciata in perfetto italiano, a Bang Bang, Anagnorisis e Not in Vain.

Accenna a spiegare che le canzoni che scrive, con il passare del tempo, assumono significato creando una struttura nel chaos che vive, finendo per dire esattamente quello che attraversa e che ha bisogno di dire in questo preciso istante.  La molteplicità e la confusione sono parte dell’esistenza umana e di rara e delicata bellezza è l’interpretazione di My Tunnels are long and Dark these Days, seduto sulla poltrona, imbracciando la chitarra, con le luci che evocano l’ombra di una veneziana sullo sfondo. Impossibile non lasciarsi trascinare dal talento e dal carisma di Avidan, così come dagli argomenti trattati nei vari momenti di scambio con la platea.

Un’esibizione indimenticabile quella di questa sera, accolta e applaudita da una standing ovation finale, assolutamente meritata, e che lascia il pubblico senza parole se non una: grazie.

 

Ringraziamo Laura Saracino di INTERNATIONAL MUSIC AND ARTS e Marta Fontana dell’Auditorium Parco della Musica di Roma  

 

Testo e Foto a cura di Ginevra Baldassari

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