Facce pulite, rock garage nelle vene: Japandroids live a Milano

Brian King e David Prowse, faccia da bravi ragazzi e tanto cuore e cervello. I Japandroids sono sul palco della Santeria di ritorno dal primavera festival di Barcellona, tenuti a bada da ragazzacci in maglia Salad Days o Descendents, arrivati sul posto sin dalle 18. Un duo magico, i Japandroids, impietrito in cassa e rullante e chitarre, quelle che Prowse cambia in continuazione e tiene davanti a sé per dare potenza di fuoco agli amplificatori dietro di lui. Una musica genuina che dopo Post-nothing vira verso il melodic hc, sempre corroso da ruvidità e classe.

 Near to the wild Heart of Life, per l’appunto, titolo di alta classe del loro ultimo album che è anche la canzone introduttiva di una serata divertente, tra accenni di pogo e birre saltanti tra i kids. Dopo un tuffo nella Fire’Higways del mitico Celebration rock, il seme rock si sparge tra Tra True love and a free Life of wild e Arc of bar. i due canadesi non improvvisano e spezzano le bacchette con arguzia e sudore colato sulla fronte, mentre i fuochi d’artificio sputano celebri attimi di garage punk e sporcizia lo-fi pop, il tutto in diretta dal cielo di Vancouver.

Non proprio avvezzi allo star system e al gioco (o giogo) da poseurs, i due offrono liquori al più appassionato spilungone del pubblico, dopo un salto che riporta in vita i The Gun Club e mira a sparigliare i reef di No know drink or drug.E poco importa che Boys are leaving town (una dei miei punti forti) non viene suonata, i due Japandroids ci sanno fare e, al termine dello show, sono esausti, con Prowse a terra e la maglietta di Brian praticamente fradicia.

Anche questo è essere in debito con la rock attitude.

Grazie a Comcerto.

Testo a cura di Andrea Alesse

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