Goodbye,Kings: la recensione di A Moon Daguerreotype

Goodbye,Kings

A Moon Daguerreotype

 

“A Moon Daguerreotype” si basa sull’idea che la nascita della fotografia abbia permesso all’uomo di indagare sulla sua stessa esistenza in una maniera nuova, riproducendo meccanicamente il mondo intorno a lui. Il dagherrotipo inizia un’era tecnologica e di rappresentazione della realtà che ha dato inizio sia al cinema che ad una nuova pittura, ad una nuova scrittura e a un nuovo modo di conoscere le cose, fino ad arrivare all’utilizzo forsennato e acritico delle immagini di oggi.”

Terza fatica per la band dei Goodbye,Kings, in una miscela atomica di riferimenti musicali che mano l’isntrumental music e la scelta fotografica/cinematica. Una sensazione di pulizia e umori sbattutiti su di un tappeto di suoni, immagini, pensieri e rappresentazioni di una coralità e un profondo ben calibrato.

Un disco maturo, quello dei Goodbye,Kings, sette elementi e una missione: cercare la contaminazione tra post-rock e uomo, tra materia matematica di accordi e imperfezione. Tutto questo in otto tracce.

Rimandi ad un genere consolidato, dunque, quello dei Mogwai ma anche degli italiani contemporanei EUF e Irina Nestor, ma anche voglia di stupire con un sax e percussioni, in una presa che è colonna anche sonora in stile Teo Theardo in brani come Phantasma. Cercare la sperimentazione per essere originali, ma senza forzature, quindi, in pezzi che utilizzano anche synth spigolosi e rumori acustici, senza bisogno si parole superflue e troppe chiacchiere al vento.

Non stupisce affatto il perfetto master eseguito presso James Plotkin (collabora con band come, Isis su tutti) negli Stati Uniti, che rende ancor più misteriosa la loro proprosta musicale, in un ragionamento complesso e animato dell’essere moderno.

Provate a perdervi con i Goodbye,Kings

 

 

 

Andrea Alesse

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