EPO, la recensione di ENEA

EPO

ENEA

Soundfly

 

Un viaggio lungo quasi 3 anni, partito dalle spiagge leccesi e terminato a Roma, con in mezzo la scelta di trovare nel linguaggio napoletano e nel suo dialetto una casa per stare al sicuro, per essere sé stessi.

EPO è un collettivo alla sua nuova fatica, che ha fatto uscire un disco di bellezza e ricerca d’intenti, tra calibrate scelte sonore legate alla composizione d’autore e alle vibrazioni sonore affidate all’ibridazione. Il violino di Rodrigo D’Erasmo, la tromba di Roy Paci, anime erranti vicine alla scelta di suonare con parsimonia.

L’elettronica accompagna da vicino la loro musica sin dalla bellissima Addò staje Tu, canzone d’amore come poche con riverberi alla Pugile e bei risvolti grazie alla voce di Ciro Tuzzi, deus ex machina e scrittore di testi. EPO  è figlio della personalità e della tradizione napoletana vera, in stile 24 Grana e con il cuore rivolto a Pino Daniele, con una scelta compositiva ampia e complessa, che incontra il dialetto per esistere.

Nessun folklore, tanto amore per la musica, testi intimi (nun ce guardammo arete) e i fiati a colpire nel segno, come nel conterraneo progetto Gustavo, con la voglia di raccontare soli che si nascondono e l’armonia della loro anima errante. Perché a pensarci bene, il dialetto campano è il  vero linguaggio dell’errante, non solo fisico ma anche mentale.

Dentro Enea, oltre al dialetto, troviamo anche risvegli alla Goosdped you Black Emperor (Luntano), come in una banda di sopravvissuti alla tempesta, vicini anche alla coralità del post rock più lieve.

Musica d’autore per cuori sinceri e menti aperte, da scoprire piano piano.

 

 

Andrea Alesse

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