Canzoni contro il passato: The Lemonheads all’Arci Biko di Milano

Evan Dando è come quell’amico che rivedi dopo tanto tempo e che sei contento di rivedere, perché sai che non ha fatto una brutta fine. Un genio che probabilmente ha trascorso una vita che noi tutti sogniamo, oltre ogni limite, ma che non posiamo permetterci perché troppo indaffarati in un presente tardo capitalismo/nichilista,

Con curiosità e amore per le sue scorribande negli anni ’90 del secolo scorso, mi affaccio allora al Biko Milano per ascoltarlo insieme alla sua band, i The Lemonheads, figura anch’essa storica di un grunge rock che non c’è più. Attempati ultra trentenni come me fatevi avanti, allora, in una serata che vede aprire le danze l’acustica trascinata dal piglio folk di Last days of April. Un “one man band solo guitar” dalla voce rotta chissà da quale emozione, perfetta per un preludio su quella che è la nostalgia per le liriche che ci attendono col gruppo successivo. Capelli lunghi e sguardo bohemien, le sue sono storie di vita e vissuto, con immagini di un struggente modernità.

Dopo una classica e meritata attesa, ecco i The Lemonheads sfidare e vincere il passato nel loro stridente e corrosivo splendor,e che parte dall’attacco di It’s about time. Una canzone con (forse) dedica che inizia ad aprire la foresta delle emozioni e dei ricordi, traghettandoci sino alla tenerezza mista a crudeltà storica di Hospital.

Tocca a noi ospiti del salotto di melodia grunge dei The Lemonheads intonare“Green green leaves, falling from the trees”, parole che cantiamo tutti assieme sotto al palco, con addosso il sapore di una fuga da un nosocomio a colpi di doppia chitarra, camicia attillata hippie di Evan rubata a qualche abitante di Skid Row (Los Angeles homeless comfort zone), batteria sincopata,e pensirei nebbiosi. Una vecchia storia personale che diviene realtà, con il nostro che non fa trapelare alcuna emozione, con sguardo fisso verso il vuoto, o forse verso l’uscio del nosocomio di cui sopra.

Il concerto continua e non perde mai spessore, con la favola di It’s A Shame About Ray che inorgoglisce la sala alzando la temperatura e gli ormoni a colpi di ritornello cantato e giusta dose di adrenalina. Via da qui Mrs Robinson (canzone-cover che li ha fatti definitivamente conoscere) e largo al loro anthem, in cui si fa musicalmente largo una band rinnovata nei membri e concentrata, in cui spadroneggia l’ex chitarrista dei Come Chris Brokaw.

Dopo una giusta dose di struggenti canzoni legate al problemino di Evan (passato alla storia per consumo di droghe di diverso tipo), sull’onda del loro ultimo lavoro Varshons 2 ecco le tanto decantate cover, declamate con gusto personale e reef arrangiati al mondo dei camicioni a quadri, ma anche con accordi di incessante tenuta indie rock. Yo la tengo, Nick Cave e anche Gram Parsons, ma soprattutto Baby I’m Bored, e Hard Drive e All My Life, due asoli di tenacia, classe e passione che sono nel set acustico di metà concerto un regalo che Eva Dando ci ha fatto pescando dal suo repertorio personale.

Grazie Evan, attendiamo in futuro altri regali profondi e biografici come quelli di ieri sera.

Un grazie anche a DNA Concerti

Andrea Alesse

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