Tense Up, la recensione del loro disco

Tense UP

S/T

Allacciate le cinture e pronti a viaggiare nell’infinito cosmico della ruvidità surf rock con i Tense Up, padroni di una scena noise noir rock che prende a calci in culo la noia e la struttura melodica delle canzoni.

Immaginateli seduti su di uni divano a vedere b-movies a stele e strisce, e ascoltate poi il loro omonimo disco, che propaga strumentalità fuori dalla zona del confort e delle sonorità blande.

Tra un reef weird e delle voci di sottofondo riprese da una cinematografia dell’occulto, ecco allora che i meccanismi si muovono con una chitarra alla The Rambo e un accenno di Ray Daytona, scalciante dietro una maschera messicana di qualche wrestler dimenticato dal tempo e dal mondo.

Tense Up è quindi una scossa elettrica, con un digipack curioso e tutto da scartare nella copia fisica, e anche con una furia che ti fa scoprire solo dal vivo che si tratta in realtà di sole due anime musicali. Vincenzo Melita e Luca Bajardi, ovvero l’urgenza di tramandare elettricità e verve surf garage con alchimia sovversiva e spirito ironico, in sei tracce da ascoltare col fiato corto e la caciara nelle vene.

Dalla piana reggiana sino alla scena tarantiniana, con spirito culturale noir e fiducia nei loro mezzi.

 

Andrea Alesse

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