NO AU, la recensione di Be in

NO AU

Be in

Costello’s

Se siete cresciuti a pane, birra e brit rock come me, “Be in” dei NO AU vi sarà saltare dalla sedia.
Nel 2019 un gruppo brianzolo attinge a piene mani dal coraggio delle proprio idee e influenze musicali e sforna un disco all british con una punta di cavalcate shoegaze e martellate punk, andando a creare una sorta di BRIT POP marca 2.0 (troppo riduttivo), ma un numero indefinito, come le volte che ho ascoltato questo lavoro da quando ho avuto il cd tra le mie mani.

Le cavalcate strumentali iniziano sin dal primo brano Red Moth, con il quale Stefano Guglielmi (cantante, chitarrista e fondatore della band), Francesco Rondinelli (batteria) e Alessio Cirillo (basso), mettono subito in chiaro un concetto fondamentale di questo album: abbiamo acquisito il Know How (da cui la simpatica storpiatura NO AU) da band come Oasis et similia ma adesso facciamo a modo nostro.
Esempio lampante di questa volontà è la cover di Norwegian Wood dei Beatles: i NO AU prendono questo storico brano, lo spaccano in mille pezzi e lo ricompongono in una versione meravigliosamente punk rock: assolo di chitarra che parte con la batteria picchiante. Ecco come una cover dovrebbe essere fatta!

Menzione personale per l’ultimo pezzo dell’album, quella BE IN che dà il nome a questo primo lavoro del gruppo. Un pezzo malinconico che ti prende allo stomaco e, dopo averti creato un vortice di emozioni, proprio quando credi sia finito, riparte per un’accelerazione finale tanto potente quanto inaspettata. Come a voler dare un ultimo messaggio: la malinconia per i nostri meravigliosi anni 90 è un sentimento bellissimo, ma è sempre il tempo di ripartire per nuove esperienze!

D.C.
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