Recensione di “Cannoball” e intervista a Johnny DalBasso

Johnny DalBasso

Cannonball

Terzo lavoro per il seminale e pazzesco Johnny DalBasso, un rappresentante vero dell’underground italiano brulicante di verve istrionica e lotta ai luoghi comuni. Attitudine estremamente “do it yourself”, in barba al mercato e ai suoi algoritmi, ma solo musica vera in stile one man band. Distorsioni rockabilly oriented,  occhi strizzati ai Ray Daytona and the Googoobombos, ma con cantato in italiano e atteggiamento da quel caro vero ribelle di quartiere di cui abbiamo veramente bisogno al giorno d’oggi. Rock post ’77, adrenalinico e accattivante nella traccia che da il titolo all’album, perché una palla di cannone è quello che ci vuole per tornare ad essere sé stessi e cantare insieme il ritornello delle sue canzoni.

Dentro l’album di Johnny DalBasso ci sono comunque anche spunti personali e racconti di relazioni (San Francesca e il suo reef da pura vida rock), con un attacco da teddy boy al sistema anti-chitarre con la bomba Sufrimiento e il suo video autoprodotto. Accordi decisi e energia, anche nella cover di Furore dell’Adriano nazionale, per un maestro della lirica rock che rilascia endorfina come se i  Weezer fossero catapultati in una cantina e suonassero travestiti da Gozzila e le tre bambine coi baffi. Menzione speciale per la ruvidità di Micidiale, traccia che ama il blues malato e l’atteggiamento da vincente.

Per capire qualcosa di più sul suo lavoro ho fatto qualche domanda a Johnny DalBasso. Servitevi

-Ciao Johnny. Dacci tre aggettivi per decifrare il tuo terzo disco.

Sicuramente dire “grosso”, “lorgorante”, ne senso che logora il lato interiore, e “intenso”, si, breve ma intenso.

-Dentro ci  ho trovato una certa urgenza, anche perché i testi sono dritti al punto e non hanno metafore o giri di parole. Sbaglio?

No, non sbagli, anche se l’urgenza a cui mi sono ispirato è un concetto poco italiano, in un paese dove si usano tanti fraintendimenti e giri di valzer col paroliere. Per il disco mi sono ispirato ai lavori della Chiswick Records, etichetta che ha prodotto i Motorhead e che registrava tutto in uno scantinato. Il mio è un lavoro grezzo ma diretto, creato senza pensare troppo,  un disco anglosassone poco italiano in cui non ci sono suoni estroversi. Pensa che in Sufrimiento stavo per mettere un synth ma poi mi sono fortunatamente redento.

-Visto che ho l’opportunità, ti chiedo: cosa ne pensi della musica alternative italiano oggi. Insomma, ieri sera c’ è stata la prima serata di Sanremo, quello del grande salto indie.

Partiamo proprio da Sanremo. Mi sembra che i cantanti provenienti dalla scena indie (glissiamo sulla polemica del momento relativa al termine) abbiano suonato in modo pulito e non si siano snaturati, ma che purtroppo il palco si Sanremo non renda omaggio alla vera potenza del loro suono. Una debolezza da prima serata che è lontana dal vero concetto di underground.

-Parlando di undreground, nel video di Sufrimiento spacchi una chitarra. Che significato ha quel gesto?

In un periodo dove tutti mettono nell’armadio le chitarre, la mia provocazione è stata quella di spaccarla, meritandomi anche parecchie critiche. In realtà si è tratto di un video politico in cui rendo omaggio alla distorsione della chitarra e al suo suono naturale. Dire di non spaccarle ma poi riporle in soffitta non è proprio una bella cosa…

-Concludiamo con qualche informazione futura. Quali sono le prossime date?

Suoneremo nel Sud Italia, in Campania e Sicilia soprattutto. Questo in attesa che anche il nord ci accolga per qualche data

Che dire, fatevi avanti organizzatori di concerti, Johnny DalBasso merita davvero il vostro palco

 

Andrea Alesse

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