Piers Faccini ci indica la strada con con il nuovo album: I Dreamed An Island

Artista: Piers Faccini
Album: I Dreamed An Island
Etichetta: Beating Drum/ Ponderosa Music & Art

Musiche per attraversare il deserto, ballad di intensa emozionalità e ricercatezza, attraverso le quali poter superare gli ostacoli dell’intolleranza. Piers Faccini pubblica I Dreamed An Island, album in cui cancella gli spettri della marginalizzazione del diverso e immagina un’umanità finalmente umana, degna di un progetto utopico che si rifà alle condizioni di un isola lontana dalle distorsioni della modernità. Il cantautore anglo/italiano/francese ama infatti fornirci un richiamo all’isola di Sicilia del dodicesimo secolo, un avamposto di vita solidale e pacifica tra popoli di diversa estrazione culturale e religiosa, magnificata dalla voce di un cultore di pop sofisticato, mescolatore di ritmi folk, e divagazioni sonore orientali e addirittura tradizional/popolare. Una provocazione? Direi di no, piuttosto una dissertazione in cui far confluire in musica un ponte immaginario tra i secoli, per offrire con la melodia un futuro migliore al nostro tempo.
Di padre italiano e madre inglese, Piers Faccini dimostra una predisposizione alla tolleranza e alla solidarietà che lo spinge a disinteressarsi anche dei confini musicali presenti tra i generi e le loro appartenenze territoriali, da buon ascoltatore di pietre miliari come Graceland di Paul Simon. Tutto questo, ce lo mostra appieno nel nuovo lavoro I Dreamed An Island, uscito per Beating Drum/ Ponderosa Music & Art lo scorso 21 ottobre (distribuisce Master Music). Un lavoro utopico e quanto mai attuale, visto anche lo sgombero in questi giorni della Jungle di Calais, episodio sicuramente non gradito al nostro autore. Chitarra e ritmi eleganti la fanno da padrone già nella prima traccia, To Be Sky, brano in cui la delicatezza della corde vocali di Faccini si fonda con virtuosi saliscendi acustici. Drone è invece marchiata dall’invidiabile desidero di documentare le barbarie dei bombardamenti sulla Siria, terra devastata a cui dedica un docile arpeggio di violino dall’effetto magico, proprio sul finire della canzone. Bring Down the wall continua con i testi impegnati e mostra elementi musicali celati dietro uso di arrangiamenti con effetti mediorientaleggianti e intermezzi vocali non in lingua inglese, tutto per dimostrare l’inutilità dei muri, cavallo di battaglia dell’odiato Donald Trump. Bella, in tale pezzo, la cavalcata in cui i tratti musicali si alzano, facendoci apprezzare nuovi toni della voce del polistrumentista Piers Faccini (cultore anche dell’arte pittorica), L’album prosegue su eleganti tracce (Cloack Of Blue) sempre marchiate dalla vocazione etnica, e sempre al servizio di un songwriting maturo. Inutile fare paragoni con l’eterno Leonard Cohen (Judith), mentre in The Many Were More fa comparsa in pianta stabile la mescolanza con versi in arabo, declamati in un crescendo di avant folk che deve molto a atmosfere provenzali e chitarre barocche. Il movimento acustico è vibrante in Beloved, sciamanico pezzo attraversato dalle sabbie del deserto tra archi e la preghiera musicale di Faccini, mentre assume contorni molto particolari la tentazione di tornare alle originali con il dialetto italofono di Anima, brano intenso con arpeggi tradizionali. La poesia, in I Dreamed An Island, non si ferma neanche negli ultimi due pezzi Comets e Oiseau, quest’ultimo struggente e simbolico, con cantato peraltro in francese e archi in sottofondo a richiamare le onde del mare, luogo di viaggio ma anche di partenze e addi.
Tracklist:
1. To Be Sky, 2. Drone, 3. Bring Down The Wall, 4. Cloak Of Blue, 5.The Many Were More, 6. Judith, 7. Beloved, 8. Anima, 9. Comets, 10. Oiseau.
Testo a cura di Andrea Alesse

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