Il rock non muore mai. E se mai ci fosse stato bisogno di una dimostrazione, ci ha pensato lui: il Diablo, Piero Pelù, che ieri sera ha trasformato l’Hiroshima Mon Amour di Torino in un tempio della vecchia scuola rock, in un’esplosione di energia primordiale, in un rito collettivo dal sudore sacro.
Luci spente, urla, fumo e… BOOM: parte “Porte”, la prima fucilata della serata. La chitarra taglia l’aria, l’inconfondibile voce graffiante squarcia il buio e Piero Pelù appare sul palco con la sua canotta smanicata nera, muscoli e carisma in bella vista. È il ritorno del Diablo, e lo fa con la potenza di un tuono. La folla esplode. Giovani, veterani del rock, curiosi: un unico corpo in movimento.
Il pubblico risponde con un boato che fa tremare le pareti. Il carisma di Piero è intatto, forse ancora più feroce. Corre, salta, suda, si arrampica sugli amplificatori, gioca con la folla come un vecchio sciamano che conosce ogni rituale dell’anima rock.
La scaletta è una carrellata di botte sonore e perle rare: “Spettacolo”, “Spirito”, “Toro Loco”, “Fata Morgana”, “Io ci sarò”, “Febero”, “Picnic all’inferno” e molto altro. Ogni pezzo è un’onda che travolge, ogni ritornello è cantato all’unisono da centinaia di voci. Le mani alzate, i pugni che battono il tempo, gli occhi lucidi di chi ha ritrovato un vecchio amico.
Verso la fine, quando le luci si fanno rosse come fiamme e parte “Canto”, seguito da “Gigante” e “No Frontiere”, Pelù si inginocchia sul palco, ringrazia Torino con una voce spezzata dall’emozione e grida: “Il rock non è una moda, è una malattia… e io non sono ancora guarito!”
Due ore di concerto. Zero pause. Solo passione allo stato puro. L’energia della vecchia scuola ha urlato più forte che mai, ricordandoci che certe fiamme non si spengono: si alimentano. E ieri sera, all’Hiroshima, il Diablo ha rimesso benzina nel fuoco.
Piero Pelù è tornato. E il rock, quello vero, ha ancora la sua voce.
Un ringraziamento a Glenda Gamba di Hiroshima Mon Amour
Testo e Fotografia a cura di William Bruto Photography