Torino ha tremato di emozione all’Inalpi Arena, dove i Negramaro hanno regalato una serata di pura intensità, costruita come un viaggio in più capitoli: il ballo, l’acustico col piano e quello con le chitarre. Tre momenti, tre anime, un solo battito.
Sul palco, Giuliano Sangiorgi in forma strepitosa: voce limpida, corpo che vibra, cuore che brucia. Non un semplice concerto, ma un rito collettivo di musica e verità.
L’inizio è un’esplosione di luce e ritmo. Le prime note squarciano l’oscurità e l’Inalpi Arena si trasforma in un mare di corpi in movimento. Le hit si rincorrono — Estate, Parlami d’amore, Solo3min — e la band suona con la furia e la grazia di chi ha ancora qualcosa da dire, dopo vent’anni di carriera.
Giuliano è un direttore d’orchestra del caos emotivo: corre, salta, sorride, si ferma a guardare la folla come se volesse imprimersi ogni volto nella memoria. Le luci seguono i battiti del basso, i colori cambiano al ritmo del fiato collettivo. È pura adrenalina.
È la parte del ballo, quella in cui non si pensa, si sente. Si vive.
Poi, come in un respiro trattenuto, la tempesta si placa. Tutto si riduce: un pianoforte, una luce calda, la voce.
Giuliano Sangiorgi si siede e il tempo sembra fermarsi. È qui che il concerto diventa intimo, che le parole pesano e il silenzio vale quanto una nota.
Canta con la voce di chi ha visto la bellezza e la perdita. Ogni brano diventa una carezza e una confessione.
Nessuno urla più. Tutti ascoltano. È il momento in cui l’arena, immensa e rumorosa, si trasforma in una stanza.
Quando attacca Via le mani dagli occhi, c’è chi piange, chi chiude gli occhi, chi stringe la mano accanto alla propria. Non c’è spettacolo, c’è vita.
Le chitarre entrano e il suono si fa caldo, avvolgente, quasi materico. È un ritorno alle origini, alle corde che vibrano come nervi scoperti.
L’atmosfera è raccolta ma vibrante: le voci del pubblico si intrecciano con quella di Sangiorgi in un coro che non finisce mai.
È la parte del concerto che più somiglia a un abbraccio collettivo — un cerchio di luci, note e storie condivise.
Con Nuvole e lenzuola il ritmo torna a crescere, ma resta quell’intimità che ormai lega tutti, musicisti e pubblico, in un solo cuore.
E poi, all’improvviso, un’immagine che resta impressa più delle parole: le bandiere palestinesi appaiono sugli schermi del palco, fluttuanti tra giochi di luce e grafiche potenti.
Un gesto sobrio ma dal peso enorme, in un momento in cui la guerra a Gaza continua a scuotere coscienze e vite.
Non ci sono proclami, non servono. C’è un messaggio che passa per immagini e musica: la solidarietà, l’empatia, la pace.
Il pubblico risponde con un applauso lungo, caldo, istintivo. Non di protesta, ma di umanità.
È il modo dei Negramaro di ricordare che la musica non vive fuori dal mondo: lo attraversa, lo assorbe, lo racconta.
Durante l’intero concerto, Giuliano Sangiorgi sembra guidato da una forza interiore limpida.
Ogni frase, ogni pausa, ogni sguardo verso il pubblico è carico di gratitudine.
Quando ringrazia, non lo fa per forma: lo fa come chi sa di essere parte di qualcosa di più grande.
Canta con la potenza di chi non teme la fragilità. Con la dolcezza di chi ha imparato che il dolore può essere bellezza.
La sua voce, potente e ruvida, vola e accarezza allo stesso tempo. È la voce di chi non recita, ma vive ogni parola.
Un ringraziamento speciale a Rachele Venco di Inalpi Arena.
Testo e Fotografia a cura di William Bruto Photography
