I Mimes of Wine e la loro grandezza, fate vostro l’animo e il sapore di La Maison Verte

Autore: Mimes of Wine
Album: La Maison Verte
Etichetta: Urtovox

La Bellezza non ha prezzo, appartiene a chi sa riconoscerla e cammina sulle sue gambe andando sempre molto lontano
Una gemma nascosta calpesta le troppo spesso sterili praterie dell’underground italico. Sono i Mimes of Wine, gruppo costruito intorno alla splendida voce di Laura Loriga, ora fuori con La Maison Verte, un album uscito in Europa dopo il successo mediatico e i live conquistati negli Stati Uniti, anche grazie alla collaborazione e all’interesse dell’etichetta Accidental Muzik rec. di Adam Moseley (già compagno di lavoro, tra gli altri, di Beck e dei The Cure). Costruzioni musicali artefatte ed eteree, accanto a sperimentazioni e un’incredibile forma canzone, da far invidia alle gettonate e ultra pubblicizzate produzioni che risuonano nel campo del post-rock odierno. Laura Loriga non ne rappresenta solo la vocalist, in quanto è autrice e suonatrice di pianoforte che realizza musiche e testi, con al fianco collaboratori fidati e strumenti d’avanguardia, come la nichelarpa di Stefano Michelotti e il contrabbasso di Matteo Zucconi, che ha anche registrato il disco. Laura, bolognese di nascita e cittadina del globo, ha creato il progetto nel 2007, influenzata da una mentalità girovaga e costruttiva che l’ha condotta verso lidi musicali che toccano animi dal sapore jazz, con atmosfere da paesaggio sonoro corposo. Una musica che l’ha portata sino alla scrittura di colonne sonore, proprio grazie a quel sapore fluttuante di cui si forgiano i suoi arrangiamenti.
La Maison Verte è il terzo lavoro dei Mimes of Wine, dopo Apocalypse e Memories for the unseen, e rappresenta un’ulteriore passo verso una musica dal tono decisamente profondo e intenso, capace di legare moderno e classico, con quel pizzico di fragilità che gli concede un’anima poetica. Provate a sentire l’introduzione di Below a fire, vera discesa verso le aperture vocali della Loriga, mentre il piano concede grazia a strutture strumentali che potremmo trovare in casa dei Mogwai. È una grazia dal sapore triste e malinconico, con accenni alle proiezioni collettive di sonorità che risiedono presso Broken social scene e compagnia bella. E poi, quella voce femminile, crocevia di animi e passioni che testimoniano la bellezza di un disco appoggiato anche sulla grandiosità degli archi, sentiti in Jay Singh insieme ad una tromba evocativa e pronta ad esplodere. Mischiare il jazz con la dolcezza di una voce che ricorda Cat Power, ma che utilizza il piano come pochi altri sulla scena, come nella conclusiva e potente Road (Chelsea Wolfe?). Nel brano Hour ci sono picchi di intensità vocale alla Rachel Goswell, mentre Bird of a feather ha un climax ossessivo che con percussioni e contrabbasso ci porta lontano, oltre la limitatezza di una forma canzone strutturata e incapace di catturare l’animo gentile e mimetico di Loriga e soci. La successiva Gates è un brano con base folk alla Beirut, più movimentato ma allo stesso modo pregno di significato. Dopo la lenta Shemkel, episodio che segna anche la vicinanza con una classicità esoterica negli arrangiamenti, ci stupisce il groove elettronico che ha come base Lovers ‘eyes, quasi un accenno a nuove sonorità alla Lim. E’ proprio questa la capacità di mischiare nuovo e arcaico di cui parlavamo sopra, una capacità incredibilmente piacevole e suggestiva che fa di La Maison Verte un disco dei Mimes of Wine da avere tra la propria collezione e, prima ancora, nella propria testa.

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