Un rumore di galline di sottofondo che aprono la porta del villaggio, poi il via alle danze con una carica devastante e contagiosa.
I Hate My Village è il gruppo più caldo della scena alternative italiana, via da copertine patinate, da carrozzoni, it-pop e dsa metodologie pubblicitarie. Solo il rumore delle due chitarre, la furia di Viterbini, la capacità di Rondanini e gli incandescenti fasci di luce colorata che investono la sala della Santeria Toscana 31 di Milano, rigorosamente sold out.
Un live che pompa sull’acceleratore delle percussioni del pluridecorato Rondanini e sull’estro dell’ex Jennifer Gentele Marco Fasolo, atterrato in una posa composta e in un outfit in linea col grande carisma del suo personaggio.
Talento, talento, e ancora talento. Con Alberto Ferrari che, dopo aver scritto i testi in soli 5 giorni, emette ancestrali vagiti soul o mugugni in stile hip hop, in un condensato e interplanetario viaggio di world music che si fonde dal vivo col blues elettrico e con la cattiveria del reef giusto che spinge la fuga dal villaggio ancora più veloce.
Musica che combatte il medievalismo imperante, senza gruppi spalla o parole al vento, ma che fa divertire il pubblico con la destrezza e l’estro di chi ha l’esperienza giusta per cancellare il primitivismo della scena italiana, anche quella alternative. Già dall’inizio di Presentiment i patti sono chiari: il decibel è alto in linea con la serata che ci vede stretti a dondolare sotto il cielo di Adis Abeba che si fonde con quello di Londra, dietro un afro-beat che sposa la via della fuga dalla prigione dei bluesman americani.
I Hate My Village in splendida forma e col sudore addosso che mette in evidenza la voglia di suonare, spinti da canzoni come Acquaragia che sono state riprodotte con arrangiamenti potenti, senza alcuna perdita di appeal o di fiducia rispetto al loro prezioso disco. Qualche cover, come quella di Michael Jackson, aiuta a capire il loro lato funambolico, che arriva sino alla hit Tony Hawk of Ghana. Momento magico quello della canzone che apre il disco, in cui una jam session tra Rondanini e Viterbini mostra i muscoli e la voglia di urlare l’odio al villaggio, stampato anche sulle magliette fatte a mano dagli stessi musicisti in vendita al banchetto. Poesia di strada, in cui si mescola il suono mascherato di Goat e la world music, in un live che spero si ripeterà presto.
Grazie a Fleisch Ufficio Stampa, sintomo di professionalità e capacità.
Andrea Alesse