intervista Giovanni Luca Valea

 

Giovanni Luca Valea nasce a Firenze il 27 dicembre 1988. Dopo la pubblicazione di tre raccolte di poesie con case editrici indipendenti del territorio toscano, Canzoni di rabbia, poesie d’amore (2016), Una Storia che credevo di aver dimenticato (2019) e Una rosa al Padrone (2021) si avvicina dapprima come autore al mondo della canzone. Ha all’attivo l’ep Iniziali (La Stanza Nascosta Records, 2021) e La disciplina del sogno (La Stanza Nascosta Records, 2023).

La sua è una canzone d’autore dalla grana fortemente poetica, oscillante tra il personale e l’universale.

The Front Row ha incontrato il poeta e cantautore toscano per una chiacchierata a cavallo fra musica e poesia.

 

La prima canzone in assoluto che ha scritto?

 

Una canzone interminabile, che durava circa otto minuti. E non la ritengo neppure tra le peggiori ma credo fosse, per gli ascoltatori, un tempo interminabile. Si chiamava “Xuela”, o qualcosa del genere. Parlava di una donna che scappava sotto la luce della luna. Forse dovevo scriverla, ma il mondo ne avrebbe fatto volentieri a meno – con piena ragione, peraltro.

 

C’è una linea di continuità tra “Iniziali” e “La disciplina del sogno”, entrambi pubblicati dall’etichetta La Stanza Nascosta Records? O si tratta di lavori assolutamente differenti?

 

Si tratta di due lavori differenti, o almeno così voglio credere. Ci sono spunti più immediatamente comprensibili ne “La disciplina del sogno”. E, tuttavia, credo di potermi esprimere ancora più chiaramente. Infine, le parti strumentali, che nel secondo EP sono un po’ più presenti.

 

La sua produzione sembra “pescare” nel mare del cantautorato colto anni settanta, come riesce a convogliare le sue influenze in una scrittura per molti versi inedita?

 

Non credo di poter rispondere a questa domanda, non saprei. Cerco di raccontare qualcosa – e non sempre sono fortunato – e di fare la mia parte. Credo che, in buona parte, sia una maliziosa consapevolezza che gli anni Settanta sono finiti, e non torneranno più, se non sotto forme differenti.

 

Una playlist di cinque canzoni che ama per i lettori di Thefrontrow?

 

  1. Bird on a wire, L. Cohen
  2. Is your love in vain? B. Dylan
  3. La ville s’endormait, J. Brel
  4. Hello it’s me, L. Reed, J. Cale
  5. Letto 26, Stefano Rosso

 

Lei è anche poeta, il verso che ha scritto di cui va più orgoglioso?

 

“Soltanto adesso guardalo / Come china il capo / Grandioso com’è l’uomo nella sconfitta. / È morto Patroclo – che amava – e per brama di re / che assurdità”. Era una rilettura in chiave anarchica dei poemi omerici.

 

Si riconosce nelle parole dello studioso Carlo Caprarella, che la definisce “Cantore che non riesce, e non vuole, limitarsi a raccontare, ma pretende di vivere.”?

 

Credo di sì, pretendo di vivere. Riuscire, poi, è un’impresa non comune, e dovremmo abbandonare l’ipotesi – tutta occidentale – che tutti riescano a fare ciò che desiderano.

 

Com’è nata la collaborazione con il pittore Paolo Staltari?

 

Una grande amicizia e la lucida visione del suo talento. Ho visto che dipingeva alberi blu e, be’, non avevo mai visto alberi blu. Mi è sembrato meraviglioso.

 

C’è un nuovo lavoro discografico in cantiere?

 

Sì, poi – forse – mi fermerò per qualche tempo; ma sarà un lavoro speciale.

Un ringraziamento a  La Stanza Nascosta Records
Intervista fatta dalla Redazione di The front row

POSSONO INTERESSARTI...