Intervista a Martina Attili: quando il bisogno di raccontare si traduce in musica

In questa intervista a Martina Attili, cantautrice romana classe 2001, ci addentriamo nella sua sottile e potente capacità di scrittura, scoprendo di più sul suo nuovo album Signorina Rivoluzione, uscito lo scorso 9 maggio.

 

Abbiamo avuto l’opportunità di scambiare due chiacchiere con Martina Attili, una giovane artista che con la sua penna riesce a entrare nell’animo delle persone di cui scrive ma anche – e soprattutto – in quello delle persone che la ascoltano. La sua empatia e la sua sensibilità le consentono di trattare ogni tematica, anche le più complesse e dibattute, con una cura – un po’ delicata un po’ pungente – che prende per mano e invita a informarsi, a scoprire di più, a scavare più a fondo nel racconto.

 

Intervista a Martina Attili: “l’importanza di essere autentici e di essere artisti prima che cantanti”

Martina Attili
Martina Attili – Photo Credits: Astarte Agency

1) Hai iniziato a scrivere canzoni quando eri davvero molto giovane, toccando tematiche con una consapevolezza e una maturità che non ci si aspetterebbe da una ragazzina. Hai cominciato subito scrivendo testi per canzoni oppure scrivendo racconti? Sappiamo che hai pubblicato un romanzo e che stai lavorando al secondo. Ti capita mai di dare vita a un racconto e poi condensarlo in una canzone?

Assolutamente. Ho iniziato ad andare in Accademia di Songwriting a 14 anni e uno degli esercizi era guardare un quadro, da quel quadro estrarre delle informazioni e in base a quelle scrivere un racconto. Poi dal racconto bisognava scrivere il testo di una canzone. È qualcosa che già facevo e che mi piace fare. Per esempio, di questo secondo libro che sto finendo, ci ho scritto subito dopo una canzone e lo stesso mi è capitato scrivendo il primo libro. Sono modalità di scrittura interconnesse. 

 

2) Signorina Rivoluzione è un album con una doppia anima, o meglio mostra due lati della tua. Da un lato hai toccato tematiche sociali importanti, come la guerra, l’aborto e la fede in Dio, dall’altro un amore che non hai mai potuto vivere davvero, di cui hai vissuto più l’aspetto malinconico, quel grande “e se” che prima o poi arriva a tormentarci tutti. Il minimo comune denominatore però sei tu, perché sono tutti aspetti del tuo modo di fare musica: saper ascoltare e saperti ascoltare. Come è nata l’idea di questo album e cosa rappresenta per te?

Inizialmente avevo pensato ad un concept album, 11 canzoni che racchiudessero solo problemi sociali e volevo chiamarlo “Umanità”, con l’obiettivo di raccontare cosa fosse successo all’umanità in questi anni in cui avevo solo potuto ascoltarla e non raccontarla. Solo che, parlando con la mia etichetta, ci siamo resi conto che organizzare dei live solo questi temi sarebbe stata tosta… e mettendo tutti questi argomenti insieme si rischiava di non dedicare loro abbastanza spazio. Anche la mia psicologa mi fece notare che c’era poco di me in quell’idea iniziale e quindi anche di un racconto in cui le persone potessero ritrovarsi più facilmente. Così, la scorsa estate, abbiamo realizzato una rubrica sui social: ogni giovedì postavamo una canzone. Abbiamo visto che Samuele era andata molto bene, così abbiamo lasciato spazio anche a quel filone narrativo.

 

3) È più semplice per te assumere il punto di vista di qualcun altro e raccontarne la storia o raccontare di te stessa, di aspetti più personali?

Dipende un po’ dai periodi. Ad oggi non riesco a parlare di me e mi dispiace, ma le storie degli altri sono più facili da raccontare perché più facili da spiegare, perché se parli di te hai meno risposte, è qualcosa di più irrisolto. Mi viene più facile al momento parlare degli altri, ma non è sempre stato così.

 

4) Trai ispirazione dalla vita, hai uno sguardo interessato e interessante, sai ascoltare e leggere persone che non conosci dal vivo, ma di cui sai apprezzare e custodire la storia, dando loro voce nei tuoi testi. Una capacità a mio parere rara e sottile. Non parli di politica, la tua è empatia: nel senso letterale del termine, ovvero “stare dentro la sofferenza, al sentimento” degli altri. Essere così sensibile ed empatica, assumere il punto di vista delle persone di cui racconti, è anche un po’ un’arma a doppio taglio? Immedesimarti in loro per scriverne, ti provoca sofferenza o è liberatorio?

Quando ho scritto Quando morirò dirò tutto a Dio e Eva e Adamo, che sono entrambe dal punto di vista di bambini, l’ho fatto in modo immediato e rapido. 

Quando morirò dirò tutto a Dio è nata dopo aver ricevuto una notizia che mi ha spinta a informarmi tutta notte sul tema e il giorno dopo la canzone è uscita in modo spontaneo dopo aver inglobato informazioni e storie di persone, lo stesso è stato per Eva e Adamo, dopo essermi informata e aver guardato spezzoni del processo, la scrittura del pezzo è stata immediata.

Parlando di come mi sento, invece, la verità è che mi sento inutile. Dopo averle scritte vorrei fare qualcosa di pratico e concreto, per questo dopo aver scritto Umanità ho seguito dei progetti all’interno del Centro Culturale dell’Ararat, perché ho paura che possa sembrare che io voglia sfruttare questi argomenti, invece vorrei sentirmi concretamente utile rispetto alle tematiche che racconto, dare il mio contributo.

So che ci sono delle conseguenze in base a quello che dico nelle mie canzoni e spero sempre possano essere positive e che possano fare venire voglia alle persone di scoprire di più e conoscere.

 

5) La tua esperienza nei musical, in qualche modo, ha influito o influisce nel tuo processo creativo? Ti aiuta ad immedesimarti nelle persone di cui racconti nei tuoi testi pur non conoscendole davvero?

La recitazione mi aiuta quando devo interpretare le canzoni, so che a volte la mia scrittura somiglia ad un monologo e la teatralità mi aiuta nell’interpretazione, ma non nel processo di scrittura. In questo mi aiuta ciò che capita nella vita, un po’ come la nascita di mio fratello più piccolo che ha fatto in modo che io iniziassi a paragonare la sua vita alle altre.

Per esempio, quando ho scritto Dall’altra parte della strada l’avevo pensata immaginandomi cosa sarebbe potuto succedere se mio fratello fosse nato letteralmente dall’altra parte della strada rispetto a dove vivo io, dove comincia una periferia. Mi sono chiesta cosa sarebbe accaduto se fosse nato in quel contesto. All’improvviso ti ritrovi a voler bene a tutti i bambini e il senso di ingiustizia si amplifica, la sua nascita è stato un cammino emotivo che ha aumentato la mia sensibilità, specialmente rispetto a questi temi.

 

6) C’è una canzone invece che pensi racconti più di qualunque altra la tua di vita? Quella che senti più autobiografica di tutte?

Al momento no. Primo liceo descrive chiaramente dai miei 14 ai miei 21 anni. La più simile alla me di 23 anni forse è Signorina Rivoluzione, ma sento che mi rappresenti solo in parte. Prima le mie canzoni descrivevano molto più come mi sentivo, ad oggi questo aspetto lo sto un po’ perdendo, purtroppo o per fortuna.

 

7) Scrivi per l’urgenza di scrivere e non a comando. Non lo fai per politica ma per convinzione, per onestà e per necessità. In Le cose vanno bene hai parlato di quello che è stato il tuo percorso nella musica, del contratto di morte che hai firmato, dell’arte e l’anima che hai dovuto vendere: “Dai bella bambina dammi tutto quello che puoi dare, ti rinchiuderò dentro un genere musicale, ti ci frullo dentro fino a farti vomitare” Devi sorridere, mentire, essere bella, puntare sull’apparenza, annuire e dare alle persone ciò che vogliono. Questo ci si aspetta, secondo te, da una cantante nel mondo della musica o in generale pensi che possa essere esteso a ciò che ci si aspetta dalle donne nella nostra società?

Socialmente sono due realtà che esistono, tuttavia penso che nel momento in cui diventi una figura pubblica, il dare l’esempio, cercare di dire la cosa giusta e dare una certa immagine di te, non è qualcosa che viene richiesto solo alle donne. Sicuramente le donne si devono reinventare più volte, ma sono richieste – in base al mio personale vissuto – che vengono fatte a qualsiasi persona indipendentemente dal genere. E chiunque soffre all’idea di dover rappresentare per forza qualcosa.

Io sento di aver avuto l’opportunità di dire quello che volevo dire. Bisogna trovare le persone giuste che supportino il tuo percorso. Io sono sempre stata una che parla e ha parlato anche tanto. L’arte non ha una regola che vale per tutti ma io ho deciso questo per la mia carriera.

 

8) Che consiglio daresti a un/a giovane che sceglie di muovere i primi passi nel mondo della musica? Di circondarsi delle persone giuste che supportino la sua idea?

Circondarsi delle persone giuste è importante in ogni ambito della vita. Il mio consiglio è sempre quello di capire che siamo tanti a fare musica e che quando cercano di direzionarci in un’unica soluzione in realtà è disfunzionale perché vuol dire omologarsi ad altri. Penso che sia importante portare la propria autenticità ed evitare di diventare una copia di qualcuno, perché poi le persone vanno ad ascoltare chi lo fa meglio. Nessuno riesce a fare noi meglio di noi stessi. L’autenticità dovrebbe sempre venire prima.

 

9) Sempre in Le cose vanno bene, dici che firmi diari dei bambini augurando loro che diventino artisti non cantanti. Che differenze c’è per te tra cantante e artista?

Il posizionamento dell’anima. Nel senso che volevo lasciare intendere nel testo, un cantante è un esecutore mentre un artista è un creatore. Un cantante può essere un artista ma un artista non potrà mai essere solo un cantante, non sono interscambiabili.

 

10) Parliamo di Eva e Adamo. Il brano nasce da una storia vera, ovvero dallo stupro di una bambina di 10 anni avvenuto negli USA nel 2022. A seguito degli abusi subiti dal compagno della madre, la bambina è rimasta incinta e il tema dell’aborto è stato al centro di polemiche, come sempre. Nella canzone la bambina si chiede: “Dicono che per me non vale, che per me è diverso. Diverso da cosa? Dalla trentenne che ha subito lo stesso? O dalla quindicenne che voleva solo fare sesso? O dalla donna che ha portato in grembo per due settimane. Un feto morto perché degli uomini hanno deciso sul suo corpo?”

E la domanda resta aperta per tutti: perché una bambina che subisce abusi viene vista come indifesa, come una vitta, mentre una donna adulta che sceglie di abortire in seguito ad uno stupro smette di essere vittima e diventa carnefice? Tu cosa pensi dell’argomento?

Io penso che intorno a questa cosa non ci debba essere un pensiero, dovrebbe essere un diritto e basta. Quello che farei io per me stessa potrebbe essere diverso da quello che faresti tu e va bene lo stesso, ma deve rimanere un diritto: ognuno dovrebbe sempre avere il diritto di scegliere per se stesso.

 

11) Nel brano Signorina Rivoluzione troviamo condensate un po’ tutte le tematiche dell’album, quelle più personali e quelle più sociali. Questo pezzo lo hai scritto per ultimo?

Si sente? Sì, è il pezzo che ho scritto per ultimo. Quando l’ho scritto non avevamo ancora il nome dell’album, riassume quello che faccio: battermi per determinate cause e innamorarmi di uomini più grandi, ho unito questi due lati e nonostante non sia il mio brano preferito mi sembrava che unisca questi due aspetti, ecco perché lo abbiamo scelto anche come titolo dell’album.

 

12) “Umanità” e “Una partita di pallone” parlano di guerra ma anche di Dio. Hai scelto parole veramente potenti ed efficaci per parlarne, ponendo il quesito che molte persone, anche credenti, spesso si chiedono di fronte alla guerra: “Perché Dio non interviene? Perché Dio ha dato la libertà all’uomo sapendo che avrebbe potuto utilizzarla male?” In “Una partita di pallone” scrivi:“Nessun Dio può volere questo, non è per la religione ma per il potere”.Tu in Signorina Rivoluzione hai raccontato di essere protestante, qual è il tuo rapporto con Dio? Cosa pensi della fede?

Sono sempre stata molto credente e non a causa di influenze da parte della mia famiglia, perché ci hanno sempre lasciati liberi di scegliere, anche perché la fede deve essere un percorso personale.

Ho fatto tutti i sacramenti da cattolica prima di scegliere di essere protestante e ricordo che, da bambina, durante una confessione, chiesi al prete: “Ma perché esistono malattie e guerre se esiste Dio?” E la sua riposta fu: “Dio ha lasciato la libertà agli uomini e sta agli uomini capire come utilizzare questa libertà, se nel perseguire la sua parola o meno”

Nella Bibbia e nel Corano c’è scritto di fare attenzione perché c’è il rischio che vengano a parlarti dicendoti che quelle sono le parole di Dio, invece queste cose non le ha mai dette… Io studio Antropologia e mi rendo conto che la religione in un primo momento è servita per educare e rendere le persone una comunità, una società, ma questo poi sfocia in potere, un concetto molto lontano da Dio e il motivo, invece, per cui scoppiano le guerre.

 

13) Occhi blu è stata scritta durante la Pandemia, nel 2020, e racconta la storia di una donna che ha dovuto dire addio al padre in ospedale attraverso una videochiamata. Ha un sapore dolce, è un addio che non sa di paura della morte, ma di voglia di ricordare i momenti di quotidianità che condividevano in famiglia. Un addio quasi confortante e malinconico. La Pandemia ha segnato molte persone e ha avuto conseguenze psicologiche di cui forse oggi non si parla abbastanza. Tu come hai vissuto quel periodo? Ti sei concentrata sulla musica?

Il primo lock-down in realtà mi ha aiutata a raggiungere degli obiettivi, perché mi ha concesso il tempo di recuperare con lo studio e diplomarmi e di prendere la patente, due traguardi necessari alla mia crescita.

Ma la seconda volta l’ho vissuta molto male, perché mi mancava cantare e anche quando cantavo, nelle prime fasi di ripresa dopo la Pandemia, il fatto che non potessi vedere i volti del pubblico a causa delle mascherine e che ci fosse distanza, non mi permetteva di capire come stessero, se si divertissero o meno.

Mi mancava esibirmi: per due anni mi era stato tolto quello che amavo e quando sono risalita su un palco di nuovo, dopo due anni, ho percepito un forte senso di gratitudine. Ho riavuto indietro qualcosa che avevo sempre dato per scontato avrei fatto sempre e per tutta la vita. Questo fa capire che anche le cose che si vivono costantemente non sono scontate, quindi poi ho dovuto lavorare sulla mia emotività per farlo tornare ad essere la normalità. Ancora oggi avverto quell’entusiasmo e quella gratitudine ogni volta che salgo sul palco.

 

14) C’è un piccolo filo conduttore tra Malinconia (primo brano che hai scritto del nuovo album) e Cherofobia? È stato un collegamento voluto?

Assolutamente sì! Sono contenta che l’hai notato, anche nel video clip ci sono molti rimandi. Quando ho scritto Malinconia volevo parlare della situazione che stavo vivendo ma nel parlare di quello, percepivo di essere cresciuta sia al di fuori che all’interno del rapporto e dovevo dare spiegazioni per cui ero in quel modo in quel momento:

Malinconia:

I petali sparsi a terraUna volta appartenevano a un fioreUna volta appartenevano a un cuore

Cherofobia:

Ed il mio cuore è come un fiore
Crede ancora nel bene
Non sa che i petali cadranno tutti insieme
Sarà in quel momento che vorrà scoppiare
Mi griderà di smetterla di amare
 

Ci sono dei rimandi nel dover bloccare un sentimento potente, non l’ho fatto apposta ma mentre lo scrivevo mi sono accorta di questo passaggio e quindi mi sembrava che Malinconia potesse fare da filo conduttore con il nuovo album. Non è stato scritto volutamente per riprende Cherofobia, anzi, ero lì che piangevo mentre la scrivevo quindi non è stato qualcosa di impostato.

Questa volta non ero io però ad aver paura di essere felice, proprio per il percorso che ho fatto, ora mi sembra assurdo non voler provare a viversi le emozioni, perché poi ti guardi indietro e vedi solo una serie di rimpianti invece che di tentativi.

 

15) Ho vissuto il tuo live di Milano e l’ho trovato intimo e autentico. La tua data a Roma del 15 maggio è stata un successo. Cosa ti aspetti dal futuro? Ti sei data degli obiettivi o la tua volontà è quella di continuare a rimanere in ascolto e scrivere ogni qualvolta ne sentirai l’urgenza per raccontare altre storie?

Continuare a scrivere e fare musica come sto facendo. Ovviamene ho degli obiettivi che spero di raggiungere, come riuscire ad entrare a Sanremo, poter fare un percorso questa estate che mi renda credibile ai loro occhi… ma se questo non dovesse essere continuerò senza alcun dubbio a fare musica. Sono molto soddisfatta di quello che sto facendo.

Ho ricevuto un commento che diceva: “I passi che fai sono piccoli”. Mi rendo conto che rispetto a quando avevo 17 anni ora canto per un pubblico più piccolo, ma io non guardo al puntino nero sulla tela bianca, piuttosto sono grata di questa possibilità e sono in pace con me stessa perché sto facendo tutte cose che mi piacciono.

Sono soprattutto felice perché in questo progetto ci vogliamo tutti bene: la mia migliore amica ha girato il video di Signorina Rivoluzione insieme a molti altri amici, perché sono circondata da persone che studiano cinematografia o fotografia competenti e che spero di coinvolgere sempre di più. Ma anche Davide Gobello e tutta la Zoo Dischi che hanno creduto in me…penso che ci siano molte persone che ci credono e questa è la cosa più importante.

 

Ringraziamo di cuore Martina Attili per il tempo che ci ha dedicato e Roberta Leone di Astarte Agency per l’opportunità.

 

Photo Credits: Astarte Agency

 

Intervista a cura di Alessia Barra

 

 

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