Il 28 aprile è uscito Disco Nucleare, il nuovo singolo rock di Fabrizio “Nikki” Lavoro. Scopriamo di più su questa nuova uscita attraverso le parole di Nikki
Disco Nucleare rientra nel progetto “La Superluna di Drone Kong” portato avanti sapientemente da Nikki, ovvero Fabrizio Lavoro, musicista e voce di Summer Camp, programma nel cuore del pomeriggio di radio Deejay. Abbiamo avuto modo di scambiare due chiacchiere con Fabrizio non solo per approfondire il processo creativo alle spalle del nuovo singolo, ma anche per addentrarci nel suo interessante doppio punto di vista, ovvero quello di artista ma anche di conduttore radio con alle spalle anni di esperienza e un sostanzioso bagaglio di conoscenza musicale.
Intervista a Nikki: attualità, meditazione e nuovi orizzonti della musica
In questa intervista abbiamo scoperto di più su cosa significa “musica” per Nikki, quanto il suo doppio punto di vista lo abbia influenzato come artista e alcune sue interessanti considerazioni sul panorama musicale contemporaneo.

Parliamo di “Disco Nucleare”, il nuovo singolo uscito il 28 aprile. Si tratta di un brano rock romantico che mescola sapientemente attualità, amore, quotidianità e l’immagine di un mondo al collasso. Ti va di spiegarci il messaggio del brano?
Avevo fatto un sogno in cui andavo a Sanremo in coppia con Ditonellapiaga. Il ricordo era piuttosto nitido e c’era anche un’ idea del mood che era appunto rock romantico anni ‘60 con l’orchestra che suona con la band.
Il giorno dopo l’ho scritto a Margherita e abbiamo riso, poi pensando che fosse un segno del destino ho completato il pezzo ed è venuto fuori così.
La voce e la chitarra sono rimaste quelle del mio provino cantato col ‘cuore in mano’, con la spontaneità delle prime registrazioni, con melodia e testo appena realizzate.
In fondo è una canzone che parte da una condizione di depressione causata dalla situazione mondiale che stiamo vivendo ma il protagonista si accende per una blue note, realizza che la vita va avanti e si ripiglia.
Nel singolo, la musica sembra essere una via di fuga dalla realtà complessa e a tratti distruttiva che ci troviamo a vivere. Secondo te lo è davvero? Una via di fuga da ciò che di brutto capita attorno a noi o anche un importante strumento di riflessione?
Quando ero poco più che un bambino la musica era un rifugio, ascoltavo in cuffia la cassetta de ‘la voce del padrone’ di Battiato anche 7 volte di fila. Mi tiravo fuori dalla realtà di scuola e casa ed entravo in un mondo che mi piaceva di più.
Da adulto ho realizzato che forse più che una fuga era un viaggio in un posto magico che esiste davvero. Ora vivo la musica (quella che mi piace) come una forma di meditazione. Mi sento trasformato dopo un concerto bello per esempio e affronto il resto della vita con un atteggiamento diverso, spero migliore 😉
Il videoclip del singolo ci mostra che è possibile continuare a ballare anche sulle macerie, su una pista da ballo che va a fuoco e racconta visivamente in modo efficace il titolo del singolo “Disco Nucleare”. Ti va di raccontarti come è nato il concept del video?
Da ragazzino mi aveva colpito questo pezzo degli Ultravox, ‘Dancing with tears in my eyes’, i tempi erano quelli della guerra fredda, qualcuno schiacciava il famigerato bottone, gli altri rispondevano e il protagonista, consapevole della fine del mondo ormai imminente passava le sue ultime ore ballando. Visto che la canzone era stata sognata per Sanremo mi sono vestito elegante come sarei andato all’Ariston però con Federico (Quistini, il regista) abbiamo cercato solo location un po’ disastrate, insomma il mondo è al collasso ma finché siamo vivi abbiamo ancora il diritto/dovere di ballare sulle macerie.
Fai radio da quando avevi 18 anni ma allo stesso tempo hai anche sempre fatto musica. Questo doppio punto di vista (interno-esterno, se vogliamo chiamarlo così) ti ha formato come artista? Come influenza il tuo processo creativo?
Sí assolutamente, anche se credo siano due facce della stessa medaglia. Ho iniziato a fare radio per caso, ascoltavo e suonavo tanto da ragazzino e ho sempre avuto una certa parlantina ma non la farei così se non fossi un musicista e sicuramente l’avere metabolizzato migliaia di canzoni passate in radio influenza quello che suono.
Alle tue spalle hai numerose collaborazioni musicali, live negli stadi, collaborazioni radio e spesso hai fatto dialogare con successo la musica con altri strumenti narrativi come le illustrazioni (Il primo album Superluna (2019), interamente registrato/mixato in casa e illustrato da disegnatori indipendenti viene presentato dal vivo al Miami Festival e a Lucca Comics). Pensi che l’aspetto visual ad oggi sia importante per rendere la musica ancora più comunicativa?
Beh l’aspetto visivo della musica oggi è ovunque, non ci molla mai, che sia qualcosa che muove gli ormoni o semplicemente l’immaginazione. Però l’aspetto visivo è sempre stato importante, io mi sono innamorato dell’immaginario degli Iron Maiden perché impazzivo per i poster che esponeva il tabaccaio del paese. Loro non si vedevano ma c’era un mondo che volevo scoprire a ogni costo.
Certo c’era più spazio per l’immaginazione, per anni sono stato convinto che entrambi i cantanti storici degli AC/DC fossero neri.
E non sapere che aspetto abbia il tuo cantante preferito è un concetto che un Gen Z non potrà mai afferrare.
Hai vissuto a New York e sappiamo che hai registrato a Los Angeles il singolo “You Spin Me Round”. Nella tua musica o visione artistica quanto è presente l’influenza americana?
A livello musicale tantissimo, anche se non amo generalizzare, il blues è alla base del 90% della musica che mi tocca. Al di là del rock più o meno contemporaneo anche una hit mondiale come Uptown Funk non sarebbe mai esistita senza il blues. Gli eroi dei Beatles, dei Rolling Stones e dei Led Zeppelin erano quasi tutti afroamericani. Bennato non sarebbe stato la stessa cosa senza Bob Dylan e di esempi così ce ne sono centinaia. Mi piace però quando quella matrice si fonde con qualcosa di estraneo, anche per questo i miei pezzi sono quasi tutti in italiano.
Per fare musica oggi cosa serve? Quali sono, secondo la tua esperienza, le caratteristiche che un artista deve avere? Cosa è cambiato rispetto al passato?
La differenza principale secondo me è nell’aspetto realizzativo. Fino agli anni 70 era impossibile registrare una canzone senza strumenti veri. Poi sono arrivate le batterie elettroniche, i campionatori, gli effetti e hanno aggiunto altre dimensioni. Oggi le strade sono infinite, si può tranquillamente pubblicare una canzone composta da suoni pre-esistenti e da una voce intonata artificialmente. Non lo dico da boomer rancoroso, è solo una constatazione. Alcune cose sono meravigliose e se i Beatles avessero avuto Splice e l’autotune li avrebbero sicuramente utilizzati, anche solo per sperimentare.
Io credo che servano comunque una visione iniziale di quello che si vuole fare, personalità, applicazione, tanta voglia e sicuramente anche la capacità di assorbire gli urti e le ferite che il mondo dello spettacolo inevitabilmente ti infligge.
Ad ogni modo credo che ci sia ancora posto per chi rispetta la propria idea di musica e la porta avanti e diffonde mantenendo una certa purezza.
Per esempio tutti ci facevano credere che a Sanremo avrebbero dominato le tipiche canzoni pop scritte da 8 autori ciascuna e invece il vero trionfatore è stato Lucio Corsi.
Grazie mille Nikki per il tempo che ci hai dedicato e grazie a Giovanni Marzola di Astarte Agency per l’opportunità.
Intervista a cura di Alessia Barra