Indie italiano e passione: Episodio 1. Due recensioni in un sol colpo: Crono e Il Diluvio

Anno nuovo, rubrica nuoa nell’ambito delle recensioni. Inauguriamo così Indie italiano che passione, piccolo manuale delle novità e delle nuove uscite in cui concentrare due o più recensioni. Passione tricolore e nuove armonie indie, per dar voce a produzioni di vari generi.

Autore: La Madonna di MezzaStrada
Album: Crono
Etichetta: La fame dischi

La Madonna di MezzaStrada è un gruppo di 5 elementi che arriva da Perugia e produce un terzo disco di noir progr/post rock. Chitarre bilanciate e mondi sommersi intrisi di un’eleganza che si intravede sin dagli archi di Albero, prima traccia di un album che assume contorni di un concept sul ritmo del tempo. La voce ha un tono a tratti progressive, come l’accordo inziali di Dirgibili, dove si fondono le malinconie e le trincee seventies che ricordano i celebri sogni di California, utilizzando anche piano e cori per dare melodia e forma canzone. Poi arriva Formaldeide e il suo incidere sulla traccia di una spoken word che si assicura chitarre per spingere sul ritmo. L’utilizzo della voce ricorda Marcello e il mio amico Tommaso e altri gruppi innamorati di melodie alla Beirut. Qualche effetto di synth accompagna Cesare e il suo revival operaio che è sempre costellato di archi, in tinta con l’immagine di copertina che sembra poter esser presa da qualche mostra viva nelle università della contestazione post ’77. Un tocco di desiderio amoroso, Triliardi, ci accompagna verso la traccia finale di Crono. Una canzone che è aperta da le parole elettriche scalfite dall’importanza del 25 aprile, per poi scandire un interessante volume di chitarra poco lineare e che ci porta verso l’esplosione finale, dove gli archi suonano e le distorsioni aumentano.

Autore: Il Diluvio
Album: Il Diluvio
Promo: IndieBox Music

Il Diluvio sono un quartetto proveniente da Brescia, e ci danno dentro con innumerevoli jam che portano ad un EP d’esordio omonimo fatto di musica dilatata . Un intellectual rock d’autore dove si sentono le diverse esperienze d’ascolto dei componenti del gruppo. Chitarre ben accoppiate(acustica ed elettrica) e liriche in inglese per assecondare un progetto armonico di cinque episodi. L’idea è di andare verso l’illusione della luna a colpi di intro psichedelica sonora (Get to the moon), per poi ricordare il compianto equipaggio della missione Apollo 1, in trappola come i sentimenti dei 4 bresciani. Qualche accenno di melodia alla Idlewild e una brama compiuta di coralità ci portano a Rain. Qui si apre la scatola di ricordi, con le strade personali perse tra ricordi e occasioni perse, mentre compaiono gli Incubus e un riff finale di buona leva. I pezzi sono abbastanza lunghi e corposi, segno di una ragionevolezza sul suono che ritroviamo anche nelle incomprensioni tecnologiche di Facerbroke. L’attenzione sui temi sociali che si fa polemica e un curioso duetto percussioni chitarre alimentano la curiosità verso il gruppo di Brescia. Il Diluvio si chiude con la tristezza dell’incomprensione di Lullaby, dove la back vocals aiuta a crescere un impianto più elettrico e deciso. Prima di andarvene, ricordate, Il Diluvio è pronto a manifestarsi, e arriverà la tanto attesa pioggia.

Testo a cura di Andrea Alesse

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