Il potere curativo della musica secondo Nick Cave

Attraverso quel particolarissimo sito web che è “The Red Hand Files“, portale da lui utilizzato per dialogare e condividere senza filtri e senza intermediari i propri pensieri con i suoi fan, Nick Cave ha risposto a un messaggio nel quale uno spettatore ha raccontato di  aver lasciato lo show in anticipo perché troppo “emozionato” durante l’esecuzione di “Into my arms“.

Suonavo ‘Into my arms’ per la mia ragazza. Sono venuto al tuo concerto a Birmingham, ma ho dovuto andarmene in anticipo. È stato troppo emozionante per me e mi ha ricordato i momenti meravigliosi che ho vissuto con la mia ragazza, momenti che so di non poter più riavere“, si può leggere nel messaggio che Stellan, da Nantwich, ha inviato al cantautore australiano, facendo evidentemente riferimento al concerto di Nick Cave e dei suoi Bad Seeds dello scorso 15 novembre, una delle tappe del tour a supporto del nuovo album “Wild god“.

La risposta di Nick Cave è una potente analisi del potere curativo che possono avere la musica e l’arte in generale ed è un profondo invito a vivere tutte le esperienze che la vita ha da offrire, siano esse brutte o stupende. Vale la pena riportare per intero il messaggio di Nick, per condividere il più possibile questi pensieri: 

“La musica dal vivo è un rituale che evoca una risposta emotiva comune a cui associamo le nostre esperienze singolari. Quando mi esibisco sul palco, vedo queste emozioni uniche e particolari esprimersi su ogni volto. Questo è uno dei grandi privilegi dell’essere un frontman, ed è il motivo per cui passo così tanto tempo vicino al pubblico. Amo osservare le emozioni sui volti delle persone: gioia, tristezza, desiderio, risate, paura, rabbia. Il concerto diventa potente ed empaticamente transazionale mentre sperimentiamo insieme la natura terapeutica della musica. Mentre lo spettacolo si evolve, emerge un andirivieni di gentilezza, energizzato dalla nostra reciproca considerazione, e inizia la guarigione.

Un concerto dal vivo può sembrare travolgente, persino spaventoso, perché il suo potere emotivo può improvvisamente far emergere le nostre esperienze più sepolte. Ma i sentimenti sono fatti per essere sentiti, ecco a cosa servono. Guariamo riconoscendo le nostre emozioni e mettiamo alla prova la resilienza del nostro cuore indugiando nell’insopportabile. È qualcosa che la musica può aiutarci a fare. Scopriamo che i nostri cuori sono molto più forti di quanto pensassimo, e ciò che pensavamo fosse insopportabile non lo era affatto. La musica fa emergere questi sentimenti sotterranei e allo stesso tempo ci salva da essi.

Sono felice che tu sia venuto al concerto di Birmingham, Stellan, ma penso che sia stata un’occasione persa ‘andarsene prima’ che un’emozione facesse il suo corso e svolgesse il suo lavoro riparativo. Capisco che deve essere doloroso sentire che quei ‘momenti fantastici’ sono passati, ma non è così, ce ne sono molti altri in arrivo. Ci saranno anche altri che spezzeranno il cuore, ma i cuori si spezzano più forte. Non dobbiamo ritirarci dai nostri sentimenti. Dobbiamo affrontarli. Provarli. Migliorare. Per parafrasare Samuel Beckett: soffrire, soffrire di nuovo, soffrire meglio. Questa è una delle cose che la musica dal vivo ci consente di fare: soffrire e guarire contemporaneamente.

Il mio consiglio? Torna là fuori. Vivi la vita al massimo e resta per tutto il dannato spettacolo. È incredibile.

Con affetto, Nick”

Si bemolle: è il suono di un buco nero presente nella galassia Perseus A, a quasi 250 milioni di anni luce di distanza, nella costellazione di Perseo. Si tratta della nota più bassa dell’universo finora scoperta, che si trova 57 ottave sotto il Do centrale della tastiera del pianoforte, tanto profonda e scura da non poter essere percepita dall’orecchio umano. L’Universo non è quindi uno spazio silenzioso, come dimostrano le rilevazioni della Nasa ora in grado di captare il suono degli elettroni al lavoro, grazie alle missioni di sonde come Van Allen o Chandra.

La musicalità dell’universo in verità era già stata anticipata da Pitagora più di venti secoli fa, con la sua teoria secondo cui il Sole, la Luna e i pianeti del sistema solare, per effetto dei loro movimenti di rotazione e rivoluzione, produrrebbero un suono continuo, impercettibile dall’orecchio umano, in grado di generare, nel complesso, un’armonia che influenzerebbe la vita sulla Terra.

E in effetti tutte le popolazioni della Terra fin dall’antichità hanno attribuito al suono e alla musica proprietà benefiche sul corpo e sull’umore. Dagli antichi sciamani di Messico, Mongolia, Africa e Arabia alle tradizioni cabalistiche del Giudaismo e del Cristianesimo, alle tradizioni spirituali del Tibet, i suoni sono stati utilizzati come strumento di guarigione, oppure per riequilibrare i chakra – i centri energetici del corpo – o per attivare particolari frequenze del cervello.

Da sempre quindi l’uomo ha riconosciuto nella musica un potere curativo straordinario. Tornando ai tempi degli antichi greci e in particolare con Platone, la musica era considerata una forma di filosofia alta. Nel suo Timeo Platone definiva la musica come cura per l’anima e sosteneva che l’armonia della musica e l’armonia della nostra anima condividono la stessa natura. Per questa ragione la musica riesce ad esercitare un impatto forte e positivo sulla mente e sulle emozioni di ciascuno di noi.

In secoli più recenti, il famoso neurologo Oliver Sacks, con il suo libro Musicofilia ha spiegato grazie a numerosi casi studio come musica e cervello siano interconnessi, spiegando che la musica è in grado di risvegliare intere zone cerebrali anche nel caso in cui queste abbiano subito danni gravi e veri e propri traumi.

Oltre a Sacks, altri studiosi hanno approfondito l’argomento del potere curativo della musica, fino ad arrivare a Sarah Jhonson e alla nascita della Musicoterapia come vera e propria disciplina universitaria, che utilizza la musica e/o i suoi elementi (suono, ritmo, melodia e armonia) per facilitare la comunicazione, le relazioni, l’apprendimento, la motricità, l’espressione, ed in generale per dare supporto e promuovere il benessere psicologico della persona.

Cosa mi ha colpito allora della risposta di Nick Cave?
Due cose in particolare, che a mio avviso estendono quanto detto fino ad ora.
In primo luogo il fatto che per Nick il potere curativo della musica trascenda il singolo individuo e possa diventare esperienza comune, in cui innestare la propria intimità. Da guarigione del singolo a guarigione collettiva, quindi, in cui ciascuno è allo stesso tempo guaritore e sofferente, e non mi stupirei se il musicista australiano avesse in mente nella sua risposta anche obiettivi di fratellanza e comunanza universale.
Il secondo punto nuovo toccato è quello di aver dato una nuova collocazione ancora più potente alla musica: non più solamente la capacità di risvegliare il meglio di noi stessi o di guarire ferite fisiche e spirituali, ma anche capacità di indugiare nell’insopportabile, rubo l’immagine usata da Nick Cave perchè non riesco a immaginare una descrizione migliore.

Non solo medicina, quindi, ma guida e arma per scendere e confrontarsi con l’abisso.
Detto da un uomo che ha perso due figli, è una testimonianza unica e preziosa. Proviamo a ricordarcene la prossima volta che assisteremo a un concerto.


A questo link è possibile rivedere il reportage di The Front Row della serata dello scorso 20 ottobre.
Foto di apertura di Stefanino Benni.

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