Abbiamo avuto più di una volta la fortuna di incontrare Renato Abate, in arte Garbo, sia dal punto di vista fotografico che musicale che umano e non possiamo che essere felici di averlo nuovamente come ospite ora che è il suo 50° compleanno artistico!
Ciao Renato, è sempre un piacere poter fare due chiacchiere con te e in questa occasione speciale, i tuoi 50 anni di carriera, ancora di più.
Vorrei subito partire da questo tuo tour dei 50 anni che, a mio avviso, non celebra ma porta con sé una testimonianza di quanto si possa rimanere fedeli alle proprie idee adattandosi al tempo che cambia. La tua consapevolezza su quanto porti all’ascoltatore fa si che una definizione ben precisa della tua musica non possa esserci. Ma sono passati 50 anni per cui io devo chiederti per forza quale tipo di artista ti definiresti ADESSO ma soprattutto se mia ci sia stato un arco temporale che hai vissuto che avresti definito come PERFETTO per il tuo essere un musicista.
Intanto chiaramente sono più essere umano che artista e come tale subisco l’influenza e le conseguenze del tempo, anche e soprattutto quella fisica perché purtroppo invecchiamo!
Tutto questo va necessariamente ad influenzare l’aspetto artistico… nel senso che a 20/25 anni, come quando ho iniziato io, hai fisicamente una grande forza nello sperare di realizzare il tuo sogno.
Al tempo non era così scontato diventare un personaggio pubblico soprattutto nel mondo dell’arte in quanto non è un qualcosa di realmente palpabile; devi arrivare alle generazioni a cui ti rivolgi e devi far sì che il tuo messaggio venga compreso e soprattutto apprezzato! Ma a 20 anni, come dicevo, il tuo sogno è molto potente mentre oggi mi devo prevalentemente guardare alle spalle e rivedere tutto il mio percorso.
Il tempo… ci sarebbero tante cose da dire sul tempo ma quello che per me è fondamentale è che Tu rappresenti il tuo tempo e il tuo tempo viceversa rappresenta te… è un binomio quasi paradossale che però se ci pensi è imprescindibile perché tu possa davvero provare a realizzare quello che hai in mente di fare.
Il filo conduttore del mio essere artista è sicuramente la mia personalità. Poi ho delle visioni, osservo i periodi storici che attraverso e quelli che ho già attraversato, come cambia la società…
Ero un ragazzo negli anni 70, ricordo il 900 e, al suo interno, i 70, gli 80 e poi i 90 e ogni decennio l’ho rappresentato in un determinato modo. Negli anni 70 scrivevo cose influenzate dal rock anglosassone e da tutto ciò che attingeva dal rock n roll ed ero più predisposto a certe atmosfere. Non mi piaceva il cantautorato italiano, non era il mio! Io non ero un cantastorie ma bensì un CANTAIMMAGINI, qualcosa che si avvicinava più alla fotografia o al cinema. Se io ascolto i miei brani, il filo conduttore, nonostante i cambi stilistici, di tendenza rispetto ai decenni, è L’IMMAGINE come modo di concepire il suono e la parola, rappresentare cose che vedi.
Come facevi 50 anni fa, senza che la musica fosse alla portata di tutti in ogni momento, ad avere idee così innovative per quel periodo, a capire la tua strada? Soprattutto in un’epoca dove in Italia non regnava certo l’avanguardia nel campo musicale. Chi ti forniva l’ispirazione? Avevi come noi (io e il Morra) uno Stiv Valli che ti faceva conoscere le realtà europee e oltreoceano?
La fortuna è stata che, per mia attitudine, ero più portato ad ascoltare certe cose piuttosto che altre tipo il cantautorato appunto e quindi non potendo attingere dalla TV, che al tempo proponeva quasi esclusivamente il nazional popolare (RAI, Sanremo, grossi spettacoli del sabato), io ascoltavo la radio tant’è che ho anche qualche brano che cita proprio la radio (radioclima ad es.).
In particolare, c’era un programma pomeridiano per i giovani e c’era Supersonic in radio rai condotto da gente che poi divenne importante nel campo della critica musicale (Giaccio, Massarini, Cascone); loro facevano ascoltare cose diverse e intanto mentre ascoltavo questo genere di musica mi dicevo: “ecco, questa è la mia musica per la cultura che ho!”; i vari Lou Reed e David Bowie, che sono un po’ gli zii di tutti!
Incontrare Le Bon, Gunn, Robbie Smith e parlarci insieme sentendo che anche loro avevamo quel genere di artista come ispiratore non aveva prezzo!
Ricordo ancora quando Brian May e i Queen fecero Radio Gaga a Sanremo e io Radioclima (eravamo entrambi scuderia EMI) e mi chiesero cosa ci facessi li, perché non era la “solita cosa italiana”.
Quindi in quel periodo per noi italiani praticamente era più un’anomalia assomigliare a gente come Holly Johnson che a Toto Cotugno. Ma non mi interessava per nulla,,, io non potevo parlare che ne so, con i Ricchi e Poveri.. non avevo nulla da dire… al massimo parlavo con gli artisti stranieri. Io ero sempre con loro, mai con gli italiani perché non mi ci riconoscevo e comunque l’essere una mosca bianca in quel Sanremo è stata una cosa positiva per me. Mi piaceva molto il fatto che si dicesse:”cazzo che figata sta cosa qua non l’ho mai sentita!”.
Anche come modo di presentarsi… Ho una foto con i Talk Talk che sembro pure io uno di loro proprio come stile… sei giovane, potente, aspiri al tuo sogno e rappresenti una cosa che in Italia ancora non c’è.
Non facevo il cantante pop, cioè lo ero anche ma in modo totalmente diverso rispetto al canone pop del tempo. Volevo cambiare il modo di scrivere testi in italiano perché, come accennavo prima, io non volevo raccontare storie e non le racconto tuttora, ma sensazioni attraverso le immagini.
Lo dimostra A Berlino va Bene. Io non parlavo di Berlino, della guerra fredda, del muro ma raccontavo immagini! Raccontavo un’atmosfera che percepivi nella città.
Poi ci andai con Massarini per davvero a Berlino per lo speciale della rai per mr fantasy (il programma musicale di Giaccio e Massarini appunto); eravamo con la EMI tedesca e incontrammo delle persone (di Berlino) che dicevano che l’avevo descritta molto bene! Ma avevo descritto cosa sentivo IO, non cosa succedeva pur non essendoci mai stato! Le immagini che avevo di Berlino probabilmente erano quelle che i berlinesi (o molti di loro) sentivano. Se l’avessi scritta oggi non avrei mai scritto quelle cose perché non è più quella di una volta. Molto interessante ma normale… è diventato uno standard europeo purtroppo.
Come si trasforma il mondo, la gente e la musica… Paradossalmente oggi la musica viene vissuta come un’esperienza, come un evento…. Infatti, per vedere un concerto, devi sempre più spesso comprare il biglietto un anno prima e a costi esorbitanti… cosa è successo secondo te? Come mai la percezione della musica si è decisamente affievolita ma il numero di persone ai concerti (diciamo i BIG) è esponenzialmente aumentato?
A questo proposito, il tuo ultimo album “il vuoto”, ha decretato in maniera decisamente esplicita il tuo pensiero su ciò che è la musica oggi: un vuoto appunto, uno strato di desertificazione circondato da pietre… Il deserto di oggi, che spieghi nei codici presenti nel tuo lavoro secondo te ha a che fare anche con il cambiamento del modo in cui ci si approccia alla musica e perché?
L’interesse per la musica oggi è come se fosse diventato il contorno di un piatto; cioè serve quasi esclusivamente come giustificativo dell’appuntamento celebrativo. Ecco il motivo per cui si affermano casi di anonimato in partenza. Ci sono artisti stranieri che non dicono nulla e hanno diversi milioni di fan pronti a fare qualsiasi cosa per assistere ad un loro concerto dove non si dice nulla… dove viene fatto tutto ciò che di più normale musicalmente possa esserci.
Viene giustificato quindi l’evento (di cosa poi? È un concerto…). Ce n’è talmente di questo nulla che la gente è portata a celebrare le cose storiche.
Il problema vero è che la storia è finita! Prima c’erano le Star, i miti, i personaggi veri. James Dean, Marilyn Monroe, Frank Sinatra, Elvis… e poi Bowie, Elton John che avevano un mondo da dire e rappresentavano il loro periodo, il loro secolo, il loro tempo. Adesso in questa desertificazione non si rappresenta più nulla. E dietro la canzoncina normale non c’è niente. È come guidare un’Alfasud nel deserto!
Questa cosa nasce nel nulla e alimenta il nulla. Il nulla come la gente, il buco nero che divora la materia. Ed è per questo che anche i giovani vanno al grande evento come può essere Springsteen; ci vanno perché è a San Siro, perché quindi è sicuramente importante e allora si deve andare anche senza sapere né conoscere il suo mondo né ciò che rappresenta.
Oggi non essendoci più la storia c’è una nuova malattia tra i giovani e cioè la nostalgia di ciò che non hai vissuto. Se hai 25 anni come fai ad essere nostalgico degli anni 80? Solo perché li hai visti sul web?
Anche nel nostro piccolo si crea oggi mio avviso una finta malinconia per ciò che è stata la musica negli anni 90 aumentando a dismisura quella percezione di benessere che, ricordo bene, ai tempi non c’era per nulla!
Già negli anni 80 c’era lo slogan no future ma almeno c’era molta creatività…
E proprio a tema creatività… vorrei avere un tuo parer su questo momento delle reunion… una reunion, soprattutto se di nomi altisonanti, porta pubblico a qualsiasi prezzo e a qualsiasi costo! È un segnale forte di quanto oggi un’alternativa al passato o un passo avanti verso il futuro non esistano? Possibile che gli AC/DC (il primo grande nome che mi viene in mente) non possano avere un degno erede? O questi eredi non li si cerca nemmeno quasi in attesa che i mostri sacri spariscano e si abbia la necessità di sostituirli in breve con il pericolo reale di farlo in fretta e male?
Essendo ormai la desertificazione culturale nel mondo (soprattutto occidentale) in stadio avanzato, essendo finita la storia, ormai anche i protagonisti sono finiti.
Rimanendo in Italia il bisogno di cambiamento nelle nuove generazioni c’è, ma non essendoci la creatività per attivare questo meccanismo cosa si fa… ci si stufa anche del nuovo… quindi nascono dei personaggi che riprendono i fasti del passato! Rievocano ciò che è accaduto negli anni sia in tema di estetica che nel contenuto sonoro. Il massimo che si possa ottenere è quello, uno spiazzamento del passato che però viene visto come qualcosa di interessante … ma solo per il fatto che negli anni che furono lo era… ma oggi non sono più gli anni che furono. Andare avanti vuol dire cambiare musica! io tento ancora io di farlo ma sono quello vecchio! Gli ultimi 3 brani del vuoto sono potenzialmente la musica di domani. Si tratta di evolvere ma nessuno sembra essere né in grado di farlo né forse di volerlo…
Al Legend, il prossimo 4 dicembre, presenterai il tuo nuovo album dal vivo (la registrazione arriva da più live) intitolato “Sulle cose che cambiano”, il secondo dopo Living del 2016. Ci puoi dire qualcosa di più su questa uscita?
È la stessa scaletta del 31 maggio ed è ovviamente il mio percorso. Ho scelto di fare questo album per portare a testimonianza questo live con Eugene perché è un qualcosa di moderno e agile. Per dire “ok ragazzi, io tiro il mio bilancio, ho fatto mezzo secolo, e credo di aver rappresentato il modo di vedere e di pensare questi 5 decenni, i suoi rumori, i suoi stati d’animo visti dal mio punto di vista ovviamente”.
Ovviamente non posso arrivare ad un pensiero nazional popolare e nemmeno lo voglio fare, non l’ho mai voluto fin dall’inizio semplicemente perché non ero io e ciò che pensavo non era possibile rapportarlo alla massa. Il mio pubblico (quantomeno la maggioranza di esso) non ha la concezione nazional popolare. Chi viene a vedere me difficilmente lo vedi al concerto di Ramazzotti.
Il mio pubblico ha un’altra sensibilità, sceglie, pensa! Chi pensa fa ciò che vuole a prescindere da quello che il mainstream gli propone (o per meglio dire gli impone).
L’arte è inversamente proporzionale al mercato. Più sperimenti, più ricerchi e meno sei commerciale. E vale anche per il pensiero comune! Se vuoi avere una tua personalità sei tagliato fuori dalla massa omologata. Sei messo nell’angolo. Oggi i ragazzi sono tutti esattamente uguali! Abbigliamento, acconciatura… non c’è personalità c’è solo omologazione… sei guidato. Ti fanno credere di poter scegliere ma in realtà non è vero. La democrazia occidentale (…) è la più alta forma di dittatura. È un’imposizione tacita nascosta… non ti dico cosa devi fare ma ti metto in condizione di doverlo fare… e tu felice di farlo pensando di fare quello che vuoi e invece no… Tanto il sistema non si preoccupa delle nicchie… sono troppo piccole e statisticamente innocue.
Quindi alla fine… “ma quanti anni hai”? 50, giusto?
Si! … Artistici!
Grazie mille Renato, ci vediamo il 4 dicembre!
Grazie a voi, vi aspetto!
Ringraziamo anche Francesco Morra Mormile per la disponibilità!
Intervista e Foto a cura di Luca Ash Iacono
