I Mudhoney aprono a Bologna il loro tour italiano

I Mudhoney sono la band che ha veramente reso possibile l’ascesa del movimento grunge dei primi anni ’90. Prima ancora di nomi del calibro di Nirvana, Pearl Jam e Soundgarden, il gruppo già dal 1988, anno della sua fondazione, ha contribuito a portare in primo piano questo genere che ha lasciato un marchio indelebile nella storia della musica rock.

La storia della band, indissolubilmente legata all’etichetta Sub Pop Records di cui ha rappresentato il primo vero e proprio exploit, inizia già nei primissimi anni ’80, quando il frontman Mark Arm fonda quasi per gioco un piccolo progetto musicale chiamato Mr. Epp assieme ad alcuni compagni di scuola.

Con l’arrivo del chitarrista Steve Turner la carriera musicale comincia a diventare un obiettivo serio per Arm, e quando i Mr. Epp si sciolgono i due ragazzi trovano nuovi compagni d’avventure in Jeff Ament (basso) e Stone Gossard (chitarra) e formano i Green River.

La nuova band guadagna la stima di un pubblico sempre più interessato, e al momento della sua dissoluzione nel 1987 i semi per la nascita del grunge sono già ben piantati a terra: Ament e Gossard creano i Pearl Jam; Arm e Turner reclutano il bassista Matt Lukin dei The Melvins e il batterista Dan Peters e fondano i Mudhoney, firmando un contratto con Sub Pop.

Ecco fino a qui è pura e chiara solita trascrizione di un comunicato stampa, ma adesso è ora di andare veramente a scuola da Mark Am.

Sinceramente mi ha stufato che ogni volta che gruppi come i Mudhoney vengono in Italia, c’è sempre la solita descrizione del fatto che sono il gruppo che si dice, ma che in realtà non è vero, ha creato il genere Grunge di Seattle.

I Mudhoney sono un gruppo che si ha fatto la storia, ma che più che mai nel 2018 riescono ancora a fare della buona musica e Digital Garbage ne è la conferma visto che lo reputo uno dei migliori dischi dell’anno.

Le serate anche nella città bolognese incominciano a farsi fredde, e a scaldare il pubblico ci pensa un duo napoletano i the devils.

Diabolico duo psychobilly apocrifo i The Devils si formano a Napoli e scelgono il loro nome dopo aver visto un B-movie del 1971 di Ken Russel.

Nel 2015 registrano i loro primi lavori ufficiali con Jim Diamond (the Dirtbombs, The White Stripes etc) venendo così contatti dall’importante etichetta discografica svizzera Voodoo Rhythm Records (official) .

Il loro sound è un tornado che mixa rockabilly, blues, noise, e trash rock n roll. 

Ora mai siamo circondati da power duo in ogni dove, ma è sempre bello vedere come si cerca sempre di essere differenti da altri .

Se riescono a fare un tour europeo vuol dire che sono riusciti a impressionare e stasera per la mezz’ora di spettacolo che i Mudhoney gli hanno dato, mi hanno veramente colpito .

Si ok sono pittoreschi perchè sono vestiti da suora e da prete, ma il casino che riescono a fare solamente in due e scusate ma Meg White spostati proprio perchè Erica Volgare è molto ma molto meglio.

Il secondo gruppo a salire sul palco, in effetti sarebbe il primo visto che i the Devils hanno suonato nel pit del locomotiv, sono i cechi : Please The Trees.

Sono una band psychedelic rock della Repubblica Ceca, e hanno una grande particolarità: piantano un albero in ogni città che visitano in tour. Ogni pianta viene fotografata e poi postata sul profilo Facebook del loro progetto Please the Trees Project.

La band non è solo attenta alla natura, ma pensa anche a creare il disco perfetto e il live più travolgente che si possa immaginare: le loro performance sono state paragonate agli effetti di un trip acido scomposti in vari elementi e riorganizzati per creare un’esperienza tutta nuova. 

Oltre a piantare alberi fanno un psychedelic rock molto interessante nonostante non apprezzi molto il genere.

Anche se sono n gruppo abbastanza navigato, sono per la prima volta nel nostro paese e vedere forse ancora così poca gente li fa un po’ cominciare con il freno a mano tirato, ma una volta scaldati hanno fatto veramente vedere il loro talento.

A me ha molto impressionato il batterista Jan ‘Svaca’ Svacina, molto scolastico, ma essendo l’unico componente della ritmica, non essendoci il bassista, tiene da solo alla grande il palco.

Vac Havelka è molto scenico e come in tutti i gruppi di questo genere non fa assoli o riff prepotenti ma si presta a stare dietro al batterista e penso che sia quello il segno tangibile del loro successo soprattutto nel loro paese.

Ok alle 22 circa ecco finalmente salire sul palco i Mudhoney.

Per combattere il casino scaturito dalle due band precedenti Mark Am e soci si devono veramente impegnare al massimo.

Salgono sul palco tranquilli come dei simpatici 50 enni che arrivano con i loro biccchieri di vino, Vedder ha la bottiglia dilettanti, per cominciare una delle 27 date che li porterà in giro per l’Europa in un mese.

27 date in 30 giorni? Si sono artisti che vivono in tour ma soprattutto perchè ora mai sono arrivati ad un’età che cercano di comprimere le date per tornare dalle proprie famiglie e alla loro vita di tutti i giorni, come fare il magazziniere alla Sub Pop come Mark Am, anche perchè se si dovesse prendere più di un mese di ferie lo lascerebbero a casa (sarcasmo).

Partono molto lenti e forse ancora un po’ infreddoliti dall’umidità fredda tipica di Bologna.

Ai primi crowd surfing, Mark raccogliendo quello che me rimaneva di un suo fans forse ha capito che bisognava partire e così è stato. 

Here comes sickness”, “Suck you dry”, “Touch me, I’m sick” sono brani che naturalmente non possono mancare in un loro concerto fatto di riff incalzanti e continui circle pit

I miei coetanei che hanno ancora voglia di spaccarsi ai concerti, con i Mudhoney si trovano nel loro regno .

I telefonini alzati, pochi per fortuna, vengono sostituiti da calore umano che forse si è un po’ perduto anche nei concerti rock del nuovo millennio.

I Mudhoney sono belli perchè non sono mai cambiati e non è la questione del mainstream o no, m semplicemente loro hanno deciso di non stare a certe regole perchè loro fanno questo per passione vera senza cedere a nessun compromesso.

Volano persone via come birilli come le mille birre sul pavimento del locomotiv .

Il concerto ha veramente poche pause 30 brani in 1 ora e 30 sono veramente qualche cosa di incredibile .

Gli encore o visto la lunghezza seconda parte del concerto è tutta dedicata alle cover e ai grandi classici come Here Comes Sickness Who You Drivin’ Now?

Fuori tempo o fuori moda i Mudhoney spaccano veramente come sempre ed è sempre bello andarli a vedere a sentire e soprattutto viverli perchè bisogna ritrovare il senso e la voglia di vivere la musica .

I’ve been goin’ to Lukin’s…I gotta spot that Lukin’s…
I knocked the door at Lukin’s…opened the fridge…
Now I know life is worth…

SETLIST:

Into the Drink

I Like It Small

Hey Neanderfuck

You Got It

Nerve Attack

The Farther I Go

Judgement, Rage, Retribution and Thyme

No One Has

Kill Yourself Live

Touch Me I’m Sick

If I Think

Next Mass Extinction

Suck You Dry

Please Mr. Gunman

Get Into Yours

Night and Fog

F.D.K. (Fearless Doctor Killers)

Oh Yeah

I’m Now

Paranoid Core

One Bad Actor

The Only Son of the Widow From Nain

21st Century Pharisees

Encore:
Here Comes Sickness

Who You Drivin’ Now?

Sweet Young Thing (Ain’t Sweet No More)

Ensam i natt
(The Leather Nun cover)

The Money Will Roll Right In
(Fang cover)

Hate the Police
(The Dicks cover)

Fix Me
(Black Flag cover)

Un ringraziamento particolare a Locomotiv club di Bologna per il gentile invito

Foto e testo di Carlo Vergani

Mudhoney

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The devils

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