La scanzonata verve di Giuliano Clerico torna in scena con L’uomo Tigre Ha Fallito

Autore: Giuliano Clerico
Titolo: L’uomo tigre ha fallito

Giuliano Clerico sa il fatto suo. Ascoltando l’ultimo album, il quarto per il cantautore autoprodotto di provenienza pescarese, mi sembra di intravedere la mole giunonica del grande Lebowsky preso a bastonate a suon di musica italiana e melodia tipica del bel paese. L’uomo tigre ha fallito suona infatti come uno sberleffo che arriva per mettere pace dopo una litigata sotto sbornia tra amici, tanto lo sai che è per scherzo. E dentro c’è tutto l’amore per la musica del cantautore abruzzese, polistrumentista e maturo artista che vede gente cantare a squarciagola a suoi concerti, già da un po’. Dopo la diva del cinemino, quindi, ecco 9 canzoni che sprigionano echi alla Bukowsky e sano ardore di vita, stretto tra un timbro vocale che richiama il compianto Rino Gaetano e le chitarre di un altro grande, Ivan Graziani. Ma ci metterei dentro anche una dose di Piero Ciampi, per un album che smaschera con piacevoli chitarre acustiche (a 6 ma anche a 12 corde) la quotidianità deviata di supereroi andati a male tra la folla.

L’aria svela già la traiettoria della scrittura del nostro Clerico, quando si lascia andare sugli zingari felici che danzano alla luna, per poi far partire il lalala finale con basso elettrico e percussioni secche. L’orecchiabilità è il dono naturale fatto al cantauore, e lo apprezziamo nella titletrack sguaiata e incensurabile, anche quando mette in mostra il fallimento di un eroe ormai tramontato tra vizi umani a cui non si può rinunciare. Uno dei pezzi più riusciti è sicuramente Le scimmie, con chitarre southern rock e ritornello che si pianta in testa già al primo ascolto. Originatasi quando la tv manda in onda in seconda serata Monkey Shines di George Romero, sembra più che altro una rappresentazione tratta da un b movie legato a Tarantino, con groove azzeccato e originale. Roulette russa è invece più tradizionalmente e melodicamente italiana, accompagnata dall’utopia del flauto dolce che ritorna più volte. Il coretto di Soap opera, mischiato col piano elettrico, fa il resto. E chissenefrega se i tempi delle volte non sono proprio impeccabili. Cambia l’intonazione vocale in Sotto Unici stelline, e cambia anche la ballabilità, azzerata da chitarre che accompagnano lente un Clerico più riflessivo. Il walzer degli zombi chiude il cerchio, con una ballad arricchita anche dal fischio del cantautore, sempre più impegnato a richiamare l’ascoltatore sulle sue tristi giornate perse dentro a un centro commerciale. Dentro ci sono i Modena City Ramblers meno politicizzati, con un apertura addirittura floydiana. Continua a giocare buon vecchio cinico Clerico, te lo meriti.

Testo a cura di Andrea Alesse

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