E’ la reggae night dell’estate: Alborosie e Damian Marley al Carroponte

Era il 27 giugno del 1980, quando l’indimenticato Bob Marley infuocava San Siro e tutta Milano, in un epico concerto che rimase nella storia e nei cuori dei fortunati presenti. 36 anni dopo, ecco nella città meneghina Damian Marley, figlio del grande Bob e conosciuto anche come Junior Gong, in onore alle conoscenze delle arti marziali del padre. Il pubblico, manco a dirlo, è quello delle grandi occasioni, per stringersi intorno alle note di una musica reggae che grazie al Carroponte ritrova spazio e spessore all’interno del cartellone musicale estivo, per uscire dalle feste improvvisate e dall’anonimato ostile ai grandi numeri sotto al palco.

A supporto di Damian, è arrivato Alborosie, seguito per l’occasione dalla Schengen club band. Il musicista siculo, nativo di Marsala ma trapiantato in Giamaica, non è per niente intimidito dal rumore del cognome Marley e piazza un live energico e coreografico, molto apprezzato dai più giovani, ma anche da chi si ricorda i fasti dei Reggae National Tickets, da lui fondati. Musica infettata dal virus del divertimento e vibrazioni che sanno di hip pop vecchia scuola e viaggi in barca attraverso l’Oceano, per un artista aperto a contaminazioni tra generi sotto la bandiera nero verde del reggae.

Un boato segue poi l’ingresso di Damian, accompagnato dalla sua personal band al completo e dalla gigantografia di Haile Selaissie, negus etiope ostile alla colonizzazione, considerato il messia della nuova religione rastafariana. La prima parte dello show è tutta per il sound eclettico e danzereccio del figlio di Bob, tra le cui note spiccano brani quali Make It Bun Dem (nato dalla collaborazione col DJ Skrillex nel 2012) e Road To Zion, visionario viaggio verso la terra promessa in cui il senso comunitario della musica reggae viene fuori, sotto e anche sopra al palco.
Molto spazio ai brani tratti dal disco Distant Relatives, con performance dinamiche che si snodano tra i testi impegnati di Land of Promise e Dispear. Molto apprezzato è poi il dialetto patwah (ceppo giamaicano) esibito in Liquor Store Blues, pezzo che è stato prodotto con Bruno Mars e che ha rilanciato il nostro Damian verso classifiche musicali e passaggi radio. Nella seconda frazione del concerto, ecco poi le canzoni di Bob, attese da una platea mai sazia e sempre pronta a connettersi con le radici del fenomeno reggae. Seguono quindi War, No more trouble e Exodus, arrangiata da Damian con la sapiente maestria di chi, confrontandosi con la storia, sa rielaborare con rispetto e tradizione. Il finale è per la danza collettiva di Could you be loved, anch’essa resa più veloce in un tripudio di colori e abbracci collettivi, per ricordarsi tutti insieme che le leggende, quelle vere, non muoiono mai.

Si ringrazia Shining Production e Carroponte per l’invito.

Testo a cura di Andrea Alesse

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