Tortoise: musica per cuori caldi al Carroponte

I Tortoise sono tornati. Punto.
Poco importa se sette lunghi anni separano l’uscita di Beacons of Ancestorship da The catastrophist, fuori dal 19 gennaio e già uno dei dischi più intriganti del 2016.

Dopo la precedente data dello scorso febbraio, il live di ieri sera al Carroponte non lascia alcun dubbio sulla solidità di un gruppo composto da artisti veri, catapultati da Chicago in Italia per un breve ma intenso tour estivo che ci permette di apprezzare un collettivo dal suono particolare e mai scontato.
Difficile, se non impossibile inquadrare la musica dei cinque americani, che anche a Milano si limitano a pronunciare pochissime parole, scambiando col pubblico l’energia delle loro improvvisazioni organizzate e della tecnica pura, acquisita dopo venti anni sulle scene.

Il supporto allo spettacolo è assicurato dalla specialità del loro elemento scenico, composto da due batterie, synth, chitarra, basso, piano, vibrafono e xilofono. A sbalordire i presenti, l’eleganza di artisti polistrumentisti, capaci anche di cambiare tre strumenti durante lo show, divertendosi e facendo divertire.
La fanno da padrone i pezzi dell’ultimo album, prodotto dopo che la municipalità di Chicago gli ha commissionato un lavoro per rendere omaggio alla sacralità del jazz locale, permettendo così alla band di ricominciare a registrare insieme e programmare un nuovo lavoro insieme. È il ritorno della struttura concentrata sull’idea di “canzone”, dopo il girovagare intorno a ai territori del fusion-prog-nujazz che tanto avevano contrassegnato l’esperienza dei Tortoise dopo il celebre Millions now living will never die, di cui portano comunque in tour alcuni pezzi. Poco importa se non ci sono Todd Rittman e Georgia Hubley (si, proprio lei, la vocalist dei Yo La Tengo) a cantare gli unici due pezzi in cui viene acceso un microfono durante un brano del gruppo di Chicago, che nell’ultimo lavoro ha aggiunto le loro voci in Rock On e Yonder Blue. A scaldare i presenti, infatti, è un live energico con assoli di batteria e arrangiamenti che spaziano dal funk metallico a tenere ventate lounge.
Le due batterie, vengono anche contemporaneamente azionate, a turno, da John McEntire, John Herndon e Dan Bitney, mentre Jeff Parker e Doug McCombs si occupano, rispettivamente di chitarra e basso, facendo però capolinea anche dietri altri strumenti, seppur con frequenza minore rispetto ai primi tre. Molto espressiva e ben suonata è la titletrack The catastrophist, curata e assolata musica che non sfigurerebbe in un album di Morricone un po’ più progressive.
Mentre scivolano via anche pezzi di TNT, altro celebrato album datato 1998, il suono energico conquista la folla dei presenti, sempre più pronti a movimentare i loro corpi con il passare dell’esibizione, segno di come il coinvolgimento di un gruppo possa passare anche attraverso i soli strumenti. Mi raccomando, però, non chiamatelo post –rock.

Si ringraziano il Carroponte e Giulia Binosi per il gentile invito.

Testo a cura di Andrea Alesse

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