The Doormen, la recensione di Plastic Breakfast

The Doormen     

Plastic Breakfast

MiaCameretta REcords/Goodfellas

 

Buone intenzioni e misure musicali che si tuffano un una reminiscenza di suono anni ’90, senza sembrare appiccicoso o far crescere inutile copiature. I The Doormen sono in quattro e vengono da Ravenna, facendo loro un suono che si ciba di misure musicali calibrate e senza sbafature.

Post-punk e rock sound alternative in stile Manchester, privo di accelerazioni e battiti fuori tempo, ma costruito su architetture interessanti e piene di sostanza. Eclettismo british e tempi di incoraggiamento oscuri, come in Everything for you e la sua batteria fucilata, accanto a voce trascinata e sofferente.

Ma anche atmosfere da periferia urlante in cerca di riparo estivo (Lay Down), in una coralità che per i The Doormen è la regola sin dal 2009, anno di nascita di un progetto che piacerebbe a Simon Reynolds quanto ai fanatici della maglietta dei Joy Dvision. Tanti palchi condivisi e festival importanti in UK, ed ecco allora che l’esperienza si fa sentire.

Il loro nuvo Lp trasuda allora concentrazione rock che esce dalla confort zone del pop e si getta nelle braccia di case con mattoni rossi e urla di scoramento familiari, come nei rimandi proprio alla citata scena di Manchester in un brano come Have you ever, uno dei migliori del lato b di Plastic Breakfast.

Il colore grigio genera talento e cavalcate anche più hard classic rock (Shut up), per un lavoro che li consacra come una compatta esperienza musicale, al riparo dalle imitazioni.

 

 

 

 

Andrea Alesse

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