TERSØ, la recensione di Fuori dalla Giungla

TERSØ

Fuori dalla Giungla

Vulcano

 

Un synth pop etereo ed esistenziale che trascina traccia dopo traccia con racconti essenziali e un ritmo sulfureo come la neve d’estate. Il nuovo album dei bolognesi TERSØ è una bella realtà che riflette la voglia di fuggire a colpi di melodia contagiosa, echi di spirali sonori sintetici e una scrittura che non lascia nulla al caso.

Una marcia in più è poi certamente la bella voce della contante Marta Moretti, incrocio tra un’eroina anni ‘80 e una poetessa elettronica alla Birthh del nuovo corso musicale. Un album che odora di profumi musicali nordici, con rimandi ai finlandesi Samaris e Vok, ma che utilizza l’italiano per decifrare storie vissute come in Stramonio, canzone docile che ti rimane in testa col suo torpore positivo e la sua anima synth pop.

Vocalismi eterei e sprazzi di allegria quotidiana casalinga, in una traccia che arriva prima di una danza soft pop che risponde al nome di Le Promesse. Qui si sente anche il basso elettrico di Bruno Bellissimo, mentre la maturità è raccontata con animo umano e sogni di lavori dopo l’estate. “Qualcosa che manca” canta Marta, malinconicamente a suo agio con una storia di vecchie promesse.

Rimaniamo poi Fuori dalla Giungla con gli altri sprazzi di virgulti pop electro che rispondono al nome di Meatmorfosi (storia di baci kafkiani e nevicate) e Petali, traccia attorcigliata in una spirale calda e senza tempo, con addosso la fiducia in una caduta docile.

Dopo l’ascolto  completo del disco, in cui spicca anche il territorio space electro di La tigre bianca, non mi riamane che dirvi: denudiamoci e corriamo con i loro ritornelli, la giungla è un modello passato e i TERSØ lo hanno capito prima di tutti. Non siamo più animali, ma creature sensibili che si nutrono di pop senza tempo.

 

Andrea Alesse

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