Disco della settimana: Tom Morello con The Atlas Underground

Tom Morello

The Atlas Underground

 

In barba ai detrattori puristi e immobilisti.

 Tom Morello produce un album che è una bomba nucleare direttamente sulle teste di coloro che pensano al polistrumentista e attivista come ad un semplice devoto alla chitarra. In The Atlas Underground, invece, si arriva ad una forma caleidoscopica di suoni e materia musicale, in cui si spazia dall’elettronica all’Hip Hop oscuro, e dove le collaborazioni sono vive e vegete ad ogni canzone.

Un collaborazionismo produttivo, in cui Tom Morello si sente a suo agio, muovendosi in un spazio che è devoto alla rabbia metropolitana e alla sperimentazione in stile Chinese Man. Una provocazione di altissimo livello, che è uscita il mese scorso poco prima dell’anniversario targato RATM, e che sposta gli equilibri di un musicista che con il suo strumento produce quello che vuole, sonorizzando la caduta e l’oblio di un trumpismo onnipresente. Una risposta musicale che parte dall’elettronica mitragliata di Battle Sirens, ballabile ma tetra quando vuole essere comunicativa.

Un disco intrigante nei modi e nelle liriche, che celebra il matrimonio con certo cantato di strada in We don’t need you abbracciando il cantato di Mensa, e che ricerca una melodia più classica quando a cantare in Find Another Way è Marcus Mumford. Cambiare strada e cercare un suono ottimale, dietro ad un direttore di orchestra che in quest’album supera le barriere per tuffarsi addirittura nella dance con Steve Aoki in un pezzo come How long.

Le sirene della politica sono sempre presenti, anche se mimetizzate in effetti e stesure di matrice più ispida, con accenni ad una cruda onda di cruento regime musicale di strada matriarcale nella godibile Roadrunner. Ci pensa qui Leikeli47 a mietere rime sulle note di una chitarra monumentale, con percussioni definite e in linea col passato del nostro Tom Morello.

Prima di uscire e urlare fuori dalla finestra, però, sentite l’energia di GZA e RZA in Lead Poisoning, un brano stile Wu Tang, dove Morello non sfigura in mezzo a messaggi anti KKK e una cassa che arriva dritta al punto con un piglio techno.

 

Andrea Alesse

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