Petricor, la recensione di First breath

Petricor

First breath

Fluttery Records

 

Una volta un mio amico mi fece ascoltare i Mogwai e gli Ozric Tentacles, dicendomi che preferiva quel genere di musica, esclusivamente strumentale, perché gli permetteva ad ogni ascolto di immaginare nuovi scenari e provare nuove sensazioni.

i Petricor, quartetto di Barletta, ci sfidano proprio su questo terreno: ascoltare profondamente (cosa che oggi ci riesce sempre più difficile) e crearci il mondo intorno. “First Breath” non è un disco che può essere goduto appieno se ascoltato mentre facciamo altro, come ormai siamo tristemente abituati un po’ tutti.

Per apprezzarne al massimo le 6 tracce (alle quali si aggiunge il remix Super8) e riuscire nell’intento di averne una vera interpretazione personale, è quindi necessario concentrarsi totalmente, come facevamo un tempo, quando sul lettino della nostra stanza ci abbandonavamo ad un disco senza essere distratti da tv, tablet, cellulari.

8”, primo brano del disco e primo singolo scelto dalla band, è l’inizio di un bel viaggio con la melodia della chitarra che ti porta naturalmente a cullarti, fino a quando nell’ultima parte non emerge l’animo più duro della band con l’ingresso prepotente della batteria che si fa a tratti martellante.

Questo percorso di ballata “apparente”, interrotta da prepotenti cavalcate rock è un filo conduttore del disco.

Momenti di serenità, durante i quali però già sentiamo che qualcosa esploderà, proprio come quando in estate scoppia il temporale e l’acqua si mischia alla terra arida (Petricor è proprio il nome che viene dato all’odore della pioggia a contatto con la terra asciutta).

 

D.C

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