Pashmak, la recensione di Atlantic Thoughts

Pashmak

Atlantic Thoughts

Manita Dischi

 

I Pashmak (in persiano: “come la lana”), ovvero un inafferrabile gruppo di elettro rock che mescola la tesi del viaggio con la tradizione anni ‘80’, in un post new wave delicato. Sono loro ad aver dato alla luce Atlantic Thoughts, disco che emerge dalla paludi come un alveare che si ricompone, con giri di valzer elettronici e melodia alt rock.

Attivi da tempo, i nostri si snodano in dieci tracce che prediligono il cantato inglese e i riverberi del suono di Manchester, connesso con un cervellotico scenario underground. Sono maturati i Pashmak, anche grazie a presenze in cartelloni internazionali e alla vicinanza con artisti esteri, che impongono una linea fatta di synth e varietà del suono, come se gli Year and Years imboccassero la strada della riflessione più acuta. Suoni eterei e malinconici che trovano espressione in un elettro ambient al femminile in Harp, complice una voce femminile che li fa qui avvicinare ai Seawords, mentre in Oceans sembra di sentire le scorribande di Heasanobody, rilette con sensibilità e voce tenue.

Ma non finisce qui, perché dopo accenni elettro-dance, ecco allora che i Pashmak cantano di lunghe passeggiate e di tramonti in Laguna, unico pezzo in italiano quasi psichedelico, in cui la biografia prende il sopravvento. Inafferrabili, dicevo prima, perché i ragazzi lombardi usano anche violino e piano, con batteria elettronica e malestrose vibrazioni, perché la tecnica c’è e il coraggio anche.

 

 

Andrea Alesse

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