Lessness, la recensione di Never Was But Grey

Lessness

Never Was But Grey

justin jest entertainment

 

Lessness è Luigi Segnana (ex bassista nei grandi Casa Del Mirto), che dopo un fortunato EP “The Night Has Gone To War“, torna  con album dal titolo “Never Was But Grey“.

Una tigre in bianco e nero regna in copertina ,mentre un beat elettronico malinconico avvolge la scena in Wait, dietro contorte voci femminili che rincorrono la scena. Parte così il lavoro pensato di Lessness, mixato con gli anni ’80 nel cuore (senti la new wave di Away) e anche con un retrogusto in cui la dance elettronica oscura pende il suo spazio. Non ci sono tormentoni o pratiche sexy pop dentro la sua materia, quanto più che altro una composizione che crede nella struggente pratica dei sintetizzatori (corposi in una traccia come V) che si amalgamano con la sua voce sfuggente. I My Awesome Mixtape che incontrano Hesanobody, cullandosi insieme coi Depeche Mode che riecheggiano in Seven Seals. Ecco una semplificazione per spiegare il suo progetto, che già dal titolo evoca la lucidità espressiva del suo moniker:

Il titolo, infatti, spiega Lessness “è tratto da una frase del racconto di Samuel Beckett Lessness. Mentre il protagonista del racconto narra la propria storia in un loop emotivo senza fine, bloccato nel ritorno perpetuo dei propri errori e dei propri ricordi, dove il grigio esalta l’immobilità emotiva, nel disco il grigio rappresenta un risveglio dal buio, da una nottata difficile. Alba grigia e nebbia, ma luce finalmente. La strada non è segnata, non è uguale per tutti, ogni scelta porta al cambiamento e la scelta è personale ed ha diverse gradazioni”.

Qualche tono industrial segna in 2.21 l’alterazione della modalità sonora di Lessness, impegnato a creare suoni oscuri e urbani in un tracciato tortuoso e pieno di nebulosa avant-garde electro noir da far invidia a Sarah Stride. Mettici un cantato in inglese, ed ecco che un buon album è venuto fuori.

 

Andrea Alesse

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