Vietato riparmairsi: gli One Dimensional Man dal vivo al Circolo Ohibò di Milano

 

Una voce fuori campo irrompe nella penombra del Circolo Ohibò di Milano. Tutti i presiedenti americani della storia, tranne uno: il tristemente noto Trump. Gli One Dimensional Man decidono di iniziare coì il loro live milanese, partendo dall’ultima canzone dell’album (American dream) che portano in scena dal vivo nel loro tour, dal titolo “You Don’t exist”. Un inizio deciso, subito rimarcando la natura anche politica della loro musica.

Tutto il resto sarà una mirabolante esaltazione delle loro capacità e della loro tenacia. La vecchia scuola, si certo, ma anche l’attualità delle loro aggressività sonore, in una riprova che la fedeltà allo stile e alle distorsioni, seppur con una nuova formazione, fa degli One Dimensional Man un baluardo della musica irregolare italiana. Non cadiamo in malinconie, però, e lasciatemi che vi racconti del sudore e della passione di un trio che mastica sangue e decibel elevati dall’inizio alla fine del set, unendo poesia di strade punk a ritmi irregolari di noise viscerale e magnetico.

Non si arretra di un centimetro, e per gli One Dimensional Man questo è un diktat cruciale, sporcato da qualche melodia che si inframmezza alle note di testi potenti e significativi come Free Speech. Piepaolo Capovilla è il solito animale da palco, nelle vesti di ugola traghettatrice dei suoi due colleghi con sguardo perso nel vuoto e testa sgombra da inutili protagonismi. Un antagonismo musicale vero circonda gli One Dimensional Man, fuori da sloganismi e retorica, ma con dentro il nichilismo di No Friends e la poesia irregolare di Marianne, mentre i risucchi della chitarra e del basso irrompono in Best Friend.

Sono musiche mai datate le loro, anche quando Capovilla annuncia una “manciata di vecchie glorie”, con l’album del 2004 “Take me Away“ a farla da padrone e il pogo di Tell Me Marie che alza il livello della discussione musicale della serata. Un live vero, quindi, vivo sino al midollo rock di una band che non ama doppioni o cambi di rotta, presentandosi come un antidoto ai tempi che corrono. Una musica crudele, per un trio che esce direttamente dalle pagine di Mark Fisher, con una realpolitik rock senza fronzoli e passi indietro.

Grazie a Costello’s

Andrea Alesse

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