Frank Carter & The Rattlesnakes, la recensione di End of suffering

Frank Carter & The Rattlesnakes

End of suffering

 

Chi lo conosce dai live sàalla perfezione che in fondo la sua combriccola rock è una missione. Si parla di atteggiamento positivo tante volte, in fondo, ma solo chi lo vuole veramente come Frank Carter ci può aiutare e farci capire quali sono le direttive. Un nuovo album per spiegarcelo, dunque, con tante ammiccanti proposte che si snidano intorno alla parola rock e al sapore della sua passione.

Arpeggi decisi, che in Tyrant Lizard King fanno comparire l’assolo è di un certo Tom Morello e in Heartbreaker colpiscono con un groove deciso alla Nick Olivieri, in un girotondo preso in prestito dalla desert session di qualche anno fa dei mitici QTSA.

Si parla anche d’amore, però, in un profondo rosso musicale che in Love Games fa scoprire l’anima soul della nostra band, con linee di piano maledette e riff sporcati dal rumore.

“Robba buona” questo  End of suffering, in barba ai puristi detrattori e alla maschera del rock moderno, perché l’ansia di una canzone come  Anxiety si assapora sul serio dietro i tatuaggi di Frank, sino alla fuoriuscita di testosterone rock selvaggio e di animo finalmente punk nella traccia di Kitty Sucker, in cui il potere del ritornello si annida sullo stoner rock della band.

Frank Carter & The Rattlesnakes che lanciano segnali, dunque, con la titletrack che è l’acustico finale speranzoso, perché l’hardcore punk che ci ha cresciuto è in fondo una speranza di purificazione essa stessa.

 

Andrea Alesse

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