Buil To Spill a Milano, il racconto del concerto

Nel 1989 Doug Martsch aveva venti anni esatti e fondava i Buil To Spill (qui nella bella e poetica foto b/n del nostro Carlo Vergani nella data del 24 maggio al Locomotiv di Bologna). Il mondo cambiava, e vederlo dalla sua stanza in Boise, Idaho, gli dava quella suspense che lo portò a comporre quel capolavoro di intensità chitarristica e privilegio indie rock che risponde la nome di Keep it like a Secret.

Un album totale che domenica scorsa i rinati Built To Spill hanno interamente suonato a Milano, in una delle tre date del loro tour italiano, inserito in un contesto europeo.

Il mondo che cambiava, dicevamo. E allora chissà cosa scriverebbe ora il buon Doug dinanzi all’ascesa della nuova dimensione politica regressiva, lui che ha perso i capelli ma non l’istinto del racconto musicale, e che mantiene una voce sobria e cristallina. Ora come allora, c’è bisogno di gente come lui per uscire dal torpore, affacciarsi alla finestra e mandar giù un boccone amaro, che domenica era nell’aria e che ho digerito per oltre un ore e quaranta di live.

Le capacità ci sono tutte, come il sapore di una conquista sonora che nel 2019 li vede protagonisti solo con la loro musica. Niente effetti speciali o scenografie monstre, ma coraggio e velocità del suono e ottima tecnica. Quello alla Santeria 31 è stato un live che accarezzi con nostalgia alla Neil Young e amore per le camicie di flanella che avevi nell’armadio. Un live che fa scoprire i gioielli di famiglia del loro secondo album, che fa del suo meglio con pezzi da novanta di un passato musicale per fortuna ancora in piedi. Ispirazione e composizione gloriosa, con due chitarre che grondano emozioni.

Dolcezza alla Pavement e furore alla gioventù sonica, con la piacevolezza di testi personali e storie diverse, che hanno fatto superare a Doug e soci la morte del componente del gruppo e altri deliri personali. Ancora in piedi, dunque, con la chitarra in mano a cantare  Center of the Universe  e Carry the Zero, narrando di dolcezze umane e speranze, con l’accento su di una batteria vecchia scuola e un certo torpore in stile contry-rock made in Usa che aleggia quando si abbassano i ritmi. Eallora, come ripetono sempre dal pubblico mi unisco al grido “Vai Doug”.

Distorsioni e umanità, per una leggenda che ho assaporato con forte convinzione che tra venti anni questa domenica non musicale sarà solo un lontano ricordo, anche grazie al concerto curativo dei Buil To Spill.

Grazie a DNA Concerti.

Andrea Alesse

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